"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere, un cuore eccessivamente spontaneo che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale; che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta, tristi canzoni, come le strade strette quando piove."
"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani Per toccare, per curare, implorare e strangolare. Ma io non so chi sono, e tu ancora non sai chi sono..." F. R.
giovedì 29 agosto 2013
Nine Inch Nails
Ho la
schiena a pezzi, il collo inchiodato, lividi sparsi….e sono felice.
Il mio
compagno di avventura stanotte mi ha salutato con “..e
se muoio chissene”. Come descrivere meglio di così la situazione?
Senso di appagamento, di aver fatto parte di qualcosa di
unico, di aver finalmente realizzato un sogno tanto a lungo inseguito.
Non
sarebbero dovuti tornare più a calcare un palco, e invece eccoli lì, a pochi
metri da me. Eccolo lì…lui. Anni di genialità e creatività fuori da ogni schema,
mischiati agli abissi della mente umana che vengono a galla attraverso parole crude
e sincere, urlate addosso a folle di sconosciuti.
Impeccabile,
meraviglioso, con il suo sguardo che perfora e la voce che graffia giusto lì
dove rimangono le cicatrici di qualche ferita mai dimenticata.
Un concerto
devastante, superbo, sia visivamente che musicalmente. Tutto curato nei minimi
dettagli con estrema puntigliosità obiettiva, eppure il risultato è quello di
emozionare un intero palazzetto che per due ore salta e urla e poga senza
tregua.
Alla fine
dello show ci sono per terra bicchieri, occhiali rotti, cellulari, scarpe, e
sul viso di tutti un sorriso e una soddisfazione che faticherò a dimenticare.
Per non
parlare di Mike Patton che fa da spalla con i Tomahawk: un portento, un genio
folle ed estremamente talentuoso. Spaccano di brutto e mi convincono molto più
di quanto abbiano fatto i loro album.
Suonano
veramente poco, ma la scena deve essere sua. Questo è il suo momento: niente lo
può fermare adesso.
Dopo i
Tomahawk la pausa, tutti che vanno a prendersi da bere e gironzolano. Nessuno
si aspetta che quasi subito, a luci ancora accese e senza alcuna intro, esca
fuori Trent da solo, nella distrazione generale, ed inizi a smanettare con la
sua tastiera elettronica.
Qualche secondo
in cui tutti restano attoniti, poi le ovazioni per ogni membro della band che
fa il suo ingresso. La gente inizia a muoversi discretamente, io penso “ecco,
vedi? Sono tranquillissimi, potevo portare Reffy!”, ma non faccio in tempo a
formulare tutto il pensiero che parte il ritornello e nel giro di una frazione
di secondo mi ritrovo un gomito conficcato nella schiena, vedo i bicchieri
appena presi pieni di birra che volano, e mi ritrovo in un pogo infernale!
A parte le
bestemmie iniziali, è stato favoloso. Sì, è proprio così che me lo immaginavo,
e non trovavo un tale coinvolgimento di pubblico ad un concerto da parecchi
anni. E’ stato un po’ come ringiovanire!
Ma di certo
più blatero e meno rendo l’idea. Non sono sicura di riuscire a descrivere ciò
che ho provato, ma sono certa che rimarrà perfettamente impresso dentro di me.
Lui non c’era.
O forse c’era e non era destino che ci incontrassimo. Sapevo che certe canzoni
avrebbero risvegliato i miei fantasmi, e non ho potuto sottrarmi alla vista
ravvicinata di quella voragine che ancora rimane aperta e senza risposte.
Troppe emozioni rendono vulnerabili, e lo ammetto, ti ho pensato, ho pensato
che avrei voluto averti davanti soltanto una volta ancora.
“Non fare la
volpe cazzo, smettila di fare la volpe..” – e mentre mi ripeto queste parole
partono le prime note di Only.
Sorrido con
tutta me stessa, e ringrazio l’uomo che cantando ferisce e al contempo ripara.
E’ la canzone giusta al momento giusto.
Già una
volta mi ha tirato fuori dal baratro, ed è incredibile…funziona. Inizio a
saltare, urlo il testo a squarciagola e mi lascio “cullare” dalle ondate
violente della folla. Tu non esisti, ci sono solo io.
"Beneath the stains of time the feelings disappear.
You are someone else I am still right here."
Le nuvole
arrivano, passano, e resta solo la sensazione di aver vissuto un sogno. E’
finito, e mi rattrista perché so che domani mi mancherà l’attesa di qualcosa di
bello che ormai si è compiuto, ma al tempo stesso ho voglia di tornare a casa,
dall’uomo che amo, nella mia tana, alla mia vita che ho costruito dopo la
tempesta e che adesso sembra reggere così bene.
Deve saperlo
perfettamente anche lui che ci si può sempre rialzare, non importa quante cose
si siano dovute sopportare.
Nessun commento:
Posta un commento