(pic by Julie Milne)
“Nel libro la volpe insegna al piccolo principe il significato che bisogna dare alla vita mediante i riti, talvolta trascurati o dimenticati, dell’amicizia e dell’amore, che consentono di "addomesticare", cioè di creare dei legami e quindi di conoscere realmente le cose, piano piano, giorno dopo giorno.
Il Piccolo principe cerca gli uomini, cioè la legge per vivere nel mondo degli uomini, e la volpe, saggia e non astuta come nelle favole tradizionali, spiega il modo attraverso il quale è possibile la conoscenza, tramite "l’addomesticare"; certo, la conoscenza implicherà poi anche la sofferenza, ad esempio quella del distacco, ma varrà la pena soffrire se poi in cambio si guadagnerà "il colore del grano", vale a dire una nuova visione delle cose.”
In questo regno diviso tra tenebre e stelle, ammantato di nebbia e irradiato di sole, quanti uomini sanno contare, regnare, bere, vivere, amare?
Solo coloro che hanno imparato a trovare le tracce di una volpe sanno cosa significhi amare senza possedere, desiderare senza sacrificare.
E unicamente una volpe addomesticata può sorridere dei colori del grano, celando in quel sorriso il segreto di una felicità che non contempla più soltanto sé stessa.
La saggezza arriva alla fine di una strada tortuosa, nascendo da campi senza grano, e passando attraverso le vite di uomini piccoli quanto i loro minuscoli pianeti.
La saggezza arriva infine per la volpe, scorrendo lungo il dorso ammantato di soffice pelo rossiccio, mischiandosi al peso del dolore, dell’amore, di tutto il sentire che su quella fragile schiena si è accumulato.
La saggezza contempla l’amore, ma l’amore non contempla nient’altro che sé stesso e il suo esistere, in tutti i colori e le forme del grano, del cielo, delle stelle.
In tutti i nomi che, in suoni ogni volta diversi, richiamano un solo nome.
In ogni attesa, in ogni anelito, in tutta l’immensità del vento tra le spighe che nessuno possiede, ma che la volpe adesso può avere, ogni volta che lo desidera.
L’essenziale è invisibile agli occhi, ma lì dove si ripone il cuore c’è un giardino stellato che nessuno potrà mai calpestare.
Un giorno hai giurato che saresti stato il mio principe, un principe migliore di tutti quelli che avevo incontrato. E hai promesso che mi avresti insegnato la differenza tra desiderio e bisogno, affinché la sofferenza potesse diventare qualcosa di più dolce, acquistando consapevolezza.
Ricordo ancora a perfezione quella promessa, sussurrata attraverso il fumo davanti al tuo viso e le lacrime davanti al mio.
Ero terrorizzata dalla mia voragine, così ho deciso di entrare nel tuo labirinto.
Adesso, quando ti guardo, ti vedo come un gigante, il guardiano di tutte le chiavi che nella mia vita ho fabbricato.
Diverso da tutto ciò che concepisco eppure affine, così accondiscendente e proteso verso di me.
Sei un dio che pervade ogni cosa che tocca, e come un angelo rinnegato io sono quello in grado di distruggerla.
Hai addomesticato il lupo che è dentro di me, hai ammaliato la volpe e le hai insegnato che nulla è scontato, nemmeno i lieto fine delle storie per bambini.
Trattengo il respiro e ti osservo in silenzio mentre dormi: sei solo un corpo abbandonato nella penombra, un eroe che, deposti i vessilli, riposa al sicuro.
Potrei restare ore a guardarti dormire, avvolto da quel sortilegio senza memoria che è il sonno. E penso a quanto sarebbe vana la mia vita se tu non fossi lì, se io rimanessi a fissare il cuscino pensando a tutto il tempo perso, scoprendo che la mia vita è senza significato.
Ma tu sei lì, a riempire i miei giorni, i miei occhi, il mio cuore. Nel ciclone informe che tutto travolge quando scende la notte, tu sei il centro immobile, l’unico punto certo che posso continuare a fissare senza smarrirmi, rincorrendoti attraverso i cunicoli del nostro labirinto che non sapremo mai dove portano.
“Neve era diventata funambola per amore dell’equilibrio. Lei, la cui vita si svolgeva come un filo tortuoso, disseminato di viluppi che intrecciavano e scioglievano tra loro sinuosità della sorte e insipidezza dell’esistenza, eccelleva nell’arte sottile e insidiosa del fare evoluzioni su di una fune tesa. Non si sentiva mai così a suo agio come quando camminava sul filo a mille piedi dal suolo. Dritto davanti a sé. Senza mai deviare d’un solo millimetro dalla rotta. Era il suo destino. Avanzare passo dopo passo. Da un capo all’altro della vita.”
(pic by Carla Manfredi)
“…in realtà per lei la cosa più difficile non era mantenersi in equilibrio, e nemmeno dominare la paura, e tantomeno camminare su quella fune infinita, su quel filo di musica intervallata da vertigini abbacinanti. La cosa più difficile, quando avanzava nella luce del mondo, era di non tramutarsi in fiocco di neve.”
Chi è perso nel labirinto impara a sue spese che la libertà non consiste tanto nel trovare l’uscita, quanto nel percorrere la strada che si snoda tra infiniti svincoli pregni di valore.
La voragine ha cercato di annullarmi, il labirinto mi ha ri-insegnato il senso delle cose, ma io sono funambola, e questa è per me l’unica via possibile.
Una corda tesa dritta avanti, sottile e fragile, che si erge maestosa sopra l’ignoto.
Non vedo mai dove la fune termina, ma avanzo imperterrita, sospesa al di sopra di quella voragine, decisa a temerla, sfidarla, amarla.
Quante energie perse a scappare, a serrare gli occhi per non vedere, a tentare con codardia di aggirare un ostacolo che non si sposterà mai? La fune annulla ogni cosa e traccia vie nuove, anche se il prezzo da pagare è una ricerca d’equilibrio che non può arrestarsi mai.
Funambola per scelta, vedo ancora la mia voragine, ma la fisso dritta negli occhi e la calpesto, lasciandole il desiderio di potermi avere un giorno, quando l’equilibrio verrà meno, o qualcos’altro attenterà a quel filo labile che si erge come mia salvezza.
“Era il tempo in cui amavo guardare le stelle avvolta dal chiarore lunare, il tempo in cui le notti erano lunghe e gelide, ma ammantate di preziosi e fragili biancori.
A quell’epoca mi capitò qualcosa di incredibile, di una bellezza tale da farmi dimenticare tutto il resto.
Per inseguire la luce che avevo intravisto sono salita su, sempre più in alto, ed ho iniziato a muovere i miei passi rapidi su una fune sospesa nel cielo. Lontano da tutto, ero inebriata da quella sensazione di leggerezza, e mi sentivo fragile e precaria, ma sempre più vicina alle stelle.
Volteggiare su quella corda tesa, in bilico sul crinale della vita, è stato il sogno più bello che mai si possa immaginare...
Di tanto in tanto mi capita ancora di volgere lo sguardo alle stelle lontane, consapevole che una parte di me è rimasta alla deriva tra le nuvole, ed un brivido mi pietrifica al ricordo di quando volteggiavo nel cielo inseguendo un sogno.
Figlia della terra, rinnegata del cielo.”
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