~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

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giovedì 15 ottobre 2020

Solitari Paradossi

 



“Inconsolabile”

 

Ecco, l’aveva trovata. Era esattamente la parola che cercava. Siccome sfogliare i libri alla rinfusa era stato totalmente inutile, decise di scriverlo su un pezzo di carta per vedere che aspetto avesse quella parola che aveva tanto inseguito. “Ha un’aria un po’ trasandata” - si disse, ma non era la situazione adatta per farci troppo caso.

 

<<Inconsolabile>>

 

Il secondo passo era pronunciarla. Lasciarla scivolare sulla punta della lingua, osservarla prendere corpo a contatto con l’ossigeno sottratto all’universo. Quella “s” sibilante un po’ la disturbava, ma una volta ancora decise che non fosse il caso di indugiare troppo sui dettagli.
In fin dei conti quella parola aveva avuto la decenza di presentarsi lì, alla soglia dei suoi pensieri, ed offrirle l’unico modo possibile per rispondere alla domanda delle domande.

 

<<Come ti senti?>>

 

Si rese conto di doverle essere grata, così si mise a ripeterla un paio di volte, per farle meglio prendere aria. Le sembrò quasi di vederla volteggiare libera, leggera. “Almeno lei” – (pensiero obbligato).

 

Il suo interlocutore in quel momento non se la stava passando granché bene: un grillo mezzo stecchito che non aveva avuto il coraggio di ammazzare del tutto. Una grottesca citazione kafkiana dovuta in realtà a semplice inadeguatezza. Si ripromise di finirlo non appena sarebbe uscita dalla vasca bollente. Per un attimo la domanda se definirsi tremendamente spietata, o invece empaticamente magnanima, riuscì a distrarla da peggiori pensieri.
Peccato che anche in quel caso non vi fosse realmente una buona risposta.
“Che a volte ne basterebbe una qualsiasi” - direbbe Baricco, ma quando ti sembrano tutte sbagliate non ti resta altro da fare che tornare al punto di partenza: “Inconsolabile”.

 

<<Sì, ma dov’è che l’avevo sentita? >>

<<Ti era piaciuta un sacco, volevi farla tua>>

 

Prima che anche quella epifania svanisse, lasciandola a faccia a faccia con il vuoto che aveva appena creato (una di quelle detonazioni che non si dimenticano, mica un vuoto qualsiasi), decise di fare un passo ulteriore, girando attorno a quella parola così calzante.

 

 <<I tuoi temporali inconsolabili>>

<<Bella. E’ una canzone?>>

 

Le venne voglia persino di sorridere, ma non era una canzone scritta a quello scopo. Si ricordò perfettamente di quella sera in cui l’aveva cercata, e mentre la musica faceva il suo corso, lei si era messa a leggere i commenti sotto al video, come suo solito.
Stilettate al cuore, una dopo l’altra. Un’amplificazione di dolore così vasta da infiltrarsi ovunque intorno, permeando ogni mezzo possibile di comunicazione.

 

<<I commenti, non puoi capire>>

<<Toccanti?>>

<<Devastanti.>>

 

Da non riuscire quasi più a sentire la canzone. Una di quelle cose che ti ricordi per forza, anche se ti scordi la parola giusta.

Pensò che dovesse essere una cosa bellissima, “tornare dall’estero” (perché di quello parlava la canzone). Nel proprio paese, a casa, da qualcuno. Ma quanto poteva farsi invalicabile lo spazio, se l’estero diventava una scelta di non restarsi più accanto?

 

Se quel grillo fosse stato ancora vivo, e magari magico e parlante, senza dubbio sarebbe stato d’accordo con lei. In una frazione di secondo si rese conto che parlare con sé stessa, pratica già perfettamente rodata negli anni precedenti, avrebbe assunto d’ora in poi tutto un altro significato.

 

<<Dovevi rispondere - sola –>>

<<Eppure mi sento inconsolabile>>

 

Senza alcun apparente nesso le venne in mente Adele H che scrive rannicchiata su sé stessa, alla ricerca della propria identità attraverso l’inchiostro.

 

<<Adesso non citerai Rilke vero?>>

<<Dovrei, è perfetto.>>

 

Non lo fece, ma solo perché nascere provvisoriamente da qualche parte, per poi ricomporre in sé stessi il luogo della propria origine e rinascervi, le sembrava ancora troppo lontano da quel buco nero in cui nuotava.

<<L’hai fatto lo stesso>>

<<Lo so. Ma dovevo. Così come dovevo uccidere una parte di me stasera.>>

<<Ottobre? Freddo gelido, pioggia e bufera? Davvero non potevi scegliere un altro giorno?>>

 

E come si fa a scegliere un giorno, una persona, una risposta? La verità sconcertante (o inconsolabile) era una sola: non lo sapeva.
E in quell’ignoranza dal peso tremendo stava affogando con le proprie mani una miriade di cose bellissime, che non sarebbero mai più tornate.

 

Si chiese se sarebbe stata ancora credibile, nel guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Così poche persone si erano rese conto che quella era disperazione.
Star continuamente sprofondando, lentamente, scivolando sulla fune invece che danzarvi, e in quell’inesorabile perdersi non aver altra soluzione che strappare brandelli alla vita. Come perle colorate e iridescenti, piene di cose stupende da vederci dentro.
Cose che esistono davvero. Che vederle è semplice, coglierle chiede un po’ di sforzo in più, ma tenerle strette, mentre si scivola giù con le mani piene di biglie, è veramente un gran casino.

 

<<Sì però… Questa non doveva essere una raccolta scritta di ritratti?>>

<<Certo.>>

<<Partire con un autoritratto non è troppo da egocentrici?>>

 

In quel momento capì, con una limpidezza disarmante, che non stava affatto parlando di sé. Che non sarebbe mai più stata sé stessa in quel modo.

 

<<Non è un autoritratto, è la descrizione dello sgabello, del cavalletto, dei colori poggiati su una tavolozza di legno consumata. E’ da qui che inizia tutto.>>

 

Iniziava esattamente lì dove qualcos’altro finiva. Si disse che le erano sempre piaciute le banalità poetiche. Ma accettando quel pensiero si ritrovò per un attimo in pace, e la pace sottendeva sempre alla tempesta.

 

Sapeva perfettamente dov’era, ma non dove stava andando. Nel cuore aveva un’immagine, fatta di molte altre immagini concentrate in una soltanto. Stelle sul soffitto, il profilo di una schiena possente nella penombra, il calore della pelle, la pace del respiro di chi dorme, il pensiero di essere al sicuro.
Non sarebbero state cose facili da scordare. Di quei pensieri che ti accompagnano quando credi di essere perduto, per ricordarti che qualche volta anche ai più stronzi viene concesso di essere felici.

 

<<La fregatura è che poi non dura.>>

<<Possibile, è per questo che dovremmo fare più ritratti. Dicono che quelli servano a sfidare il tempo.>>

 

Non sapeva assolutamente da dove iniziare, ma era certa di aver appena scritto l’unico incipit possibile.





E sempre, come un amuleto,
tengo i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto.
E tu tornerai dall'estero, forse tornerai dall'estero.


domenica 21 agosto 2016

There is no one to blame...

...but me.

(Shamrain - To Leave)


Vorrei raccontarti di quando caddero le stelle e persi me stessa. Vorrei farti i vedere i sogni prendere la forma di una lucida follia senza ritorno. Vorrei spiegarti perché i desideri hanno la profondità di due occhi verdi che si perdono nella luce del tramonto, perché la voce di Mika Tauriainen suona come neve mai caduta in inverni dimenticati, perché le cose si rompono e non ce ne facciamo una ragione neanche dopo molti anni.

Vorrei poterti parlare dell'amore come nessuno lo ha fatto mai, descriverti la sua voce, il modo in cui mi guardava, le poesie meravigliose che ci siamo scritti, le tragedie che si sono consumate nella distanza infinita di una retta che collega infiniti punti, destinati a congiungersi senza futuro. 


Vorrei darti il mio cuore affinché tu possa vivere la favola come l'ho vissuta io, senza tramite di parole, giudizi, interpretazioni. Ma la verità è persa per sempre, sepolta sotto i cocci delle certezze infrante, e non c'è modo in cui io possa davvero raccontartela. 

Serbiamo tesori inestimabili di ricordi soltanto nostri, celati nelle profondità della memoria. Quelli di cui non parliamo mai, se non in qualche serata un po' alcolica, per metafore o allusioni, senza dire poi nulla, lasciando che le parole incespichino e si perdano nei discorsi di qualcun'altro che inevitabilmente ci parlerà sopra.

Vorrei che ci fosse un modo di raccontare la storia d'amore più bella che io abbia mai vissuto senza sentire il peso della colpa.



Vorrei che quel bracciale non si fosse mai rotto. Sette anni sono davvero tanti. Mi sono sempre chiesta come sarebbe successo, quando o perché. Immaginavo che avrei recepito una sorta di segno, così come è sempre stato con lui: un labirinto di coincidenze e magie difficili da spiegare.
Invece no...in una sera di fine estate, al ritorno dalle vacanze, a pochi giorni dall'acquisto della casa, in un periodo in cui tutto sembra cambiare eppure niente viene stravolto....*fran*. Rotto.


“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran." (Baricco)

Sorrido al ricordo di quel giorno, al pretesto che ci ha portati ad avere quei due fili di stoffa e ad intrecciarli con le nostre mani, le nostre vite, i nostri desideri che avevano un destino già segnato.
Tanto più ci sentivamo fragili e senza futuro, tanto più era smisurata la bellezza effimera del nostro sogno.

Non sono mai guarita davvero. Ho perso tutto e avuto ogni cosa nello stesso istante.
Niente è più stato lo stesso nella mia vita. La purezza delle certezze, persa per sempre.



Ho una foto di quei giorni, e anche a distanza di tanto tempo mi trasmette intensamente la desolazione e la forza che ho provato in quei momenti. 
E' strano vedere la mia pelle ancora candida e quasi del tutto inviolata. Ma covavo nelle viscere tutto il nero che poi sarebbe trapelato, un po' per volta, lasciando le cicatrici che ora mi porto addosso sotto forma di inchiostro. 
E' iniziato tutto da lì, da un sogno, una spirale...una voragine.
My story to tell.

"We've come too far, not another day...no more 
there is no return, no words to explain
no excuses left to make, there is no one to blame
there is no one else to blame...but me."




mercoledì 27 luglio 2016

What the soul hides...

...ink tells.

Pensavo di scrivere un post sul mio ultimo tatuaggio, ma non lo farò. O forse centrerà anche lui, in qualche modo.

L'altra sera siamo passati in moto per il centro di Padova. Fa un caldo atroce in questi giorni, ma la brezza serale è un sollievo immenso per il motociclista. Ce la siamo presa con calma, passando per diverse strade e lasciando fluire i pensieri dopo una giornata lavorativa intensa come mille altre, tutte uguali. "Everyday is exactly the same..." - lo sa spiegare così bene Trent.
Ecco, mi sono già persa. Forse dovrei andare a morire sul divano guardando una sfilza di telefilm, o finire le millemila foto accumulate (sia stramaledetto il mio secondo lavoro) o  magari buttarmi a letto e riposare una buona volta gli occhi.
Invece no, starò qui a scrivere e contemporaneamente maledirmi mentalmente perché non ne sono più in grado, non come una volta.
Dicevo..

Passo per queste strade, con l'aria sul viso e la puzza di una città inquinata da fare schifo, e mi guardo intorno con la pacata rassegnazione di chi sa già che è cambiato tutto. Eppure ci sono cose che restano sempre uguali pur mutando leggermente aspetto, cose dall'essenza eterna, che si prestano così bene ai desideri della memoria.
Il Maldura è sprangato, visto l'orario, ma si erge splendido e maestoso...o forse è un po' in rovina? E' decadente, questa è la verità, ma io lo vedo monumentale e denso di significati. La statua di Petrarca è sempre lì, nella stessa maledetta posizione che se ora ci penso non la ricordo, ma vedendola potrei riconoscerla tra mille. L'inconscio ricorda a perfezione cose che la ragione offusca.

Su quei gradini ho lasciato così tanti pezzi di vita che vederli vuoti e macchiati da banali immondizie mi riempie l'anima di sconforto. Mi chiedo se odorino un po' anche di cipolla e di kebab, con tutti i pranzi consumati così, tra i libri dell'università e le chiacchiere fantasy.

Percorro le strade che ho fatto a piedi ogni stramaledetto giorno della mia vita per interminabili lunghissimi anni, ed immagino me stessa lì sul marciapiede, la borsa a tracolla pesante come un macigno per via dei libri, l'abbigliamento rigorosamente nero e un po' trasandato da brava nerd sfigata, il viso struccato e diafano, i capelli biondi.
Immagino di avvicinarmi a quella ragazza che non mi assomiglia e di sussurrarle all'orecchio. Vorrei dirle che tra dieci anni sarà tutto molto diverso, ma che lei sarà ancora lì, sulla stessa strada, e rincorrerà come perle preziose che cadono a vuoto in un precipizio tutti i ricordi più cari. I ricordi che per quella ragazza ora sono presente. 
Dovremmo sempre apprezzare di più il presente. Viverlo, spremerlo, buttarcelo addosso ed andarci in giro fieri come fosse la cosa più importante che abbiamo. Perché lo è davvero...importante. Ma soprattutto è insostituibile.

So perfettamente che non percorrerò mai più quella strada con gli stessi occhi e lo stesso cuore, potrei farla altre cento volte ma non sarà mai più lo stesso. Io non sono la stessa.
Vorrei dirle che è bella, che è speciale, e di smetterla di farsi paranoie e di starsene nel suo mondo convinta che verranno tempi migliori, tempi in cui si prenderà le sue rivincite e avrà modo di pensare più a vivere che a studiare. Vorrei urlarle di uscire, di fare cazzate, di ubriacarsi e di passare più tempo con quelle persone che ama. Ma lei non mi sente, ed io sono solo l'ombra dei desideri che un tempo ho avuto.
Vorrei dirle che si innamorerà ancora e che farà cazzate enormi. Ma che non guarderà più con la stessa meraviglia due occhi azzurri e non ci saranno altre favole su cui costruire assiomi e stelle vergini su cui trapiantare sogni. Vorrei poterle spiegare che nonostante tutto sarà forte, e che non smetterà di volare sempre più veloce di dove arrivano i suoi passi.

Se potesse sentirmi forse cambierebbe tutto, o magari no. 
Siamo in potenza un uragano di possibilità, ma preferiamo dormire tra la tempesta che è stata e quella che verrà.

Lo sapevo che alla fine il cerchio si sarebbe chiuso. E' così che funziona, è così che tutto acquista senso solo dopo molti anni, quando il pensiero abbraccia il senno di poi e la coscienza di sé traccia mappe chiaramente leggibili. 
Ma è sempre troppo tardi. Restano la nostalgia e la consapevolezza. Non ho certo imparato dai miei errori. Ma dormo in mezzo alla tempesta, e urlo verso la luna.




"Men with both roots and wings
they tie us down and ask us to leave
they are teachings unheard, they are bodies on smoke

Men with both roots and wings
at a singular voice we moan
our teachings mislead, our teachings like smoke

we sleep between the storm that was
and the wind which has to come



We've learnt to learn everywhere
and the very own nature has taught us to wait
difference does sound like sin, equality reliefs
and that fame rhymes with hate yet everything is fair
on the intervals of your death

misguided demons or forthcoming heroes
each one with an important name
nothing else than an important name.

Men with both roots and wings
at a certain time we are one
our little tricks, our innocence stubborn

Men with just little wings, men with just little minds
Men with just little eyes, men with just little deeds

sleeping between the storm that was
and the wind which fails to come (and finally)
blow us away."











mercoledì 30 dicembre 2015

Winter Sun

"I see a golden light shining far away,
I can't tell if I'll make it there someday"






giovedì 19 novembre 2015

We sleep between the storm that was...

...and the wind which has to come.



Ci sono cose che rimangono sempre uguali sé stesse per inedia, altre che invece sopravvivono agli anni perché si attaccano alla pelle e si insinuano nel cuore così in profondità da conquistare la forza di adattarsi infinitamente, di strisciare come un serpente verso nuove forme.

Ho sempre avuto poche certezze nella mia esistenza, una di queste è la musica. E il mio fanatismo introspettivo legato alla mia sensibilità assetata di manifestazioni emozionali ha eletto pochi nomi che fanno parte del mio olimpo personale delle divinità. Quelle divinità che non preghi ma adori con intima devozione, perché sono in grado di creare piccoli miracoli ogni volta che alzi il volume e la musica prende forma.

Quanta musica ho divorato, eppure sono pochi i nomi che amo alla follia, quelli che ho seguito in capo al mondo se necessario, quelli che non c’è lavoro/stanchezza/difficoltà che tenga. Quelli che hanno scritto pagine indelebili della mia vita nel momento in cui hanno regalato la loro arte al mondo, e nel mondo questa è entrata nelle vite dei singoli, si è trasformata, ha trovato significati infinitamente diversi.

Sono passati quindici anni da quando ho sentito per la prima volta Irreligious dei Moonspell. È stato amore totale, una folgore a ciel sereno che avrebbe segnato il resto della mia vita scandendone le tappe e regalandomi emozioni uniche. 
Se c’è una cosa che amo fare è legare momenti della mia vita a delle canzoni: è l’unico modo che conosco per rendere dei ricordi indelebili almeno a livello emotivo. Le forme scompaiono, i colori sbiadiscono, la mente non può serbare tutto ciò che vorrei. Ma il cuore sì, il cuore riconosce quelle note ed improvvisamente è come se il tempo non fosse mai passato.

Extinct è un album che sto amando moltissimo. Ho già avuto modo di apprezzarne l’enorme impatto che riesce ad avere live durante la prima tappa del tour. In quell’occasione ho avuto il piacere di intervistare Pedro e di stare un po’ nel backstage a chiacchierare con loro, ma ho dimenticato le foto. No, non è così grave, ma è triste per una come me, così fissata con i ricordi. 
Mi piace riguardare le vecchie immagini delle prime volte in cui li ho incontrati, quando il mio cuore di lupo era ancora così gonfio di adorazione che quasi non riuscivo a parlare con quell’uomo gentile che negli anni ha continuato a ricordarsi di me.
Ieri è stato il momento della seconda tappa del tour. Anche questa volta tanta strada e tanta stanchezza tra lavoro, vecchiaia, e impegni vari. Ma ho una persona che mi ama e mi sostiene anche in questo, nonostante non possa capire questo mio enorme desiderio, e gliene sono enormemente grata.



Mentre mi truccavo, davanti allo specchio, osservavo le rughe che inutilmente provo a tamponare con del correttore che non è mai abbastanza, e ripensavo alle prime volte, quando ero giovane e terribilmente sognatrice, quando mesi prima iniziavo a preparare i regali e i biglietti per Fernando, sperando in cuor mio di poter vedere ancora una volta quel bagliore dorato che hanno i suoi occhi, abbracciarlo e dirgli inutilmente altre mille volte “grazie”.
Presa da nostalgia sono andata a guardarmi qualche foto. No, non sembravo nemmeno io, doveva essere qualcuno che mi assomigliava e che sentivo molto affine. Sono tornata in bagno e ho frugato nel mio più vecchio beauty case, ritrovando quell’ombretto viola che avevo comprato con lui, a Vicenza, quando ancora c’era il velvet goth e i vestiti costavano troppo per le mie tasche. Fissavo lo specchio eppure era come rivedere un film: lui a casa mia, che per la prima volta aveva accettato di accompagnarmi ad un concerto, schivo com’era, ed io che mi truccavo con quell’ombretto per poi lasciare che mi facesse decine di foto. Quella sera suonavano i Moonspell.
Scadono gli ombretti? Forse sì, ma io quello l’ho conservato, e non solo, l’ho usato ieri sera, dopo così tanti anni. Sembra una stupidaggine, lo so, ma è sottile la linea che attraversa le nostre esistenze, collegando qua e là punti prima sconnessi. Quella linea può dare un senso alle cose più banali, creando connessioni magiche e silenziose che solo l’anima sa apprezzare.



A make-up completato ho studiato a lungo il mio viso. Non sono riuscita a vedere niente di quella ragazzina, eppure la luce negli occhi al pensiero del concerto imminente mi è sembrata proprio la stessa. Dopo tutti questi anni, dopo averli visti e rivisti, dopo aver sognato e osservato i miei sogni avverarsi. Sì, l’emozione è sempre la stessa. 
Così come succede con l’amore, quello vero, quando è in grado di mantenere sempre viva la fiamma primordiale che ha incendiato il cuore. Come quando ti svegli una mattina qualsiasi, dopo anni, accanto alla persona che ami, e ti accorgi che il tuo cuore la riconosce ancora come se fosse la prima volta.

Non ero mai stata prima in quel locale. Siamo arrivati di corsa dopo due ore di strada in tempo soltanto per il secondo gruppo spalla. Il palco era veramente grande, lo spazio per i fotografi una trincea piena di ostacoli mortali. Ma lo spirito di sopravvivenza del fotoreporter metal non ha eguali.

Esibisco il mio bel pass e cerco di trovare il mio angolino in trincea tra gli altri fotografi d’assalto, in equilibrio precario. Le luci si spengono, partono le note di Love you to death dei Type O Negative. Peter, il più grande e compianto “extinct”, ha una voce che pervaderà i secoli a venire, non ho alcun dubbio. Il tributo dei Moonspell a questo grande uomo mi commuove anche stavolta. Si accendono solo due luci verdi in suo onore, e nel silenzio della sala la canzone scivola nota dopo nota fino alla fine. Un’intro sublime. 
Mi siedo a terra e ascolto ad occhi chiusi: ancora non sono saliti sul palco e già sono riusciti ad emozionarmi.

Il concerto è una figata, come sempre. Mi affanno per fare il mio dovere di fotografa eppure non riesco a tenere la testa a bada. Urlo con loro, salto, esulto, e non mi sembra vero di avere ancora la voce alla fine. Aires mi saluta appena mi vede sotto il palco a inquadrarlo, Fernando mi ammicca sorridendomi. Sono già felice che metà basterebbe. 
Ma c’è dell’altro: una versione di Magdalene che non mi aspettavo assolutamente, e due delle canzoni che più amo e che non sentivo da parecchio tempo live: Nocturna ed Everything Invaded. Sono pezzi di vita che mi scorrono davanti agli occhi e in profondità nel flusso del mio sangue. Quindici anni fa come oggi tutto ha improvvisamente un significato, sempre diverso, sempre importante.

A concerto finito la birra è d’obbligo, un po’ di chiacchiere con alcuni amici trovati lì, e l’attesa per il meet and greet. Come al solito ho portato loro qualche regalino, Aires mi vede da lontano e mi chiama per nome con evidente felicità quando vede il pacchetto. È facile conquistare gli iberici con degli alcolici!
Foto di rito, e attendo che la calca diminuisca prima di avvicinarmi a Fernando. Avevo così tanta voglia di rivederlo…è una sensazione strana: non posso dire che sia come rivedere un vecchio amico con cui hai condiviso parte di vita, ma è qualcosa di molto simile. Sono emozionata nonostante sia la millesima volta che ci parlo, e ringrazio il mio cuore per essere ancora capace di emozionarsi così. Baci e abbracci, il mio cuore si calma. Sì, sono agitata ma la sua presenza mi calma. 



Gli chiedo la follia di scrivermi con la sua calligrafia una frase che sento il bisogno di tatuarmi: ride, dice che questa non gli era ancora capitata. Rido anch’io, perché nella fretta di partire dopo lavoro ho trovato solo un quadernetto rosa che avesse pagine bianche dove fargliela scrivere, e non dimenticherò mai l’immagine di lui chino su quei quadretti che si concentra per scrivere in modo leggibile. Inchiostro su carta, inchiostro sulla pelle…le cose davvero importanti devono essere indelebili.



Finito il meet and greet chiacchieriamo ancora, di musica, di cazzate, di vita. Nel backstage c’è così tanta puzza di cannoni che ringrazio di non vivere più con i miei genitori da anni o avrei avuto un paio di cosette da spiegare. È tardi, fottutamente tardi, ma c’è la birra, c’è la musica, c’è la compagnia: chi se la perde l’occasione di stare un altro po’ con loro? 
Altri momenti indelebili, e la sensazione di essere parte di qualcosa. Sono felice? Sì, sono felice. La musica è tutto, la musica unisce. Un ultimo abbraccio per salutarci. Mi mancherà così tanto.

Il mio cuore di lupo batte più forte per un istante e poi si calma. È quello il branco, è quella la luna più luminosa. Mi viene voglia di ululare ancora, come all’inizio di Full Moon Madness, all’unisono, per dire tutto quello che le parole tradiscono.


(Type O Negative - Love you to death)

martedì 21 luglio 2015

Funambolismi. Neve.

"Ci sono due specie di persone. Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono. E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita. Ci sono gli attori. E ci sono i funamboli." Neve - 雪 - M. Fermine


lunedì 16 marzo 2015

Ghosts of the Midwinter Fires

Quando il vento soffia feroce, Lei urla più forte...



Scalcia prepotente dentro la mia anima, squarcia la ragione e ottenebra la mente. 
E' quella parte di me che ulula nelle notti di luna piena o nel buio di un cielo stellato, è la creatura che corre a quattro zampe, è l'alter ego a cui ho dato il nome di un ciondolo magico: Aurin.

E' tutto ciò di selvaggio e di più vero che mi porto dentro, la somma dei miei fantasmi e della mia forza nel sostenerli.

Quante volte ho provato a relegarla nella camera segreta della mia fantasia, ma lei urla e si agita e sbatte le porte delle mie stupide censure. 

Vuole correre, libera, cavalcare il vento, ferirsi il viso con i rami nel bosco. 
Aurin è la forza più grande che ho dentro di me, ma è indomabile, imprevedibile, e così follemente attirata dalla voragine che circonda la fune su cui costantemente avanzo.

In una notte come questa, buia e agitata da un vento feroce, le sue urla mi perforano la mente.
La sua intransigenza mi tenta, la sua voce che mi chiama e mi invita a fuggire è soave come il canto della più infame sirena.

Fuggi Aurin, fuggi davanti a chi non ti merita, a chi ti ha tradita, a chi non ha saputo essere come desideravi, a chi ti vuole prosciugare, usare, a chi pretende di conoscerti, a chi ti ossessiona, a chi ti tormenta rubandoti la forza della tua primordiale e istintiva sopravvivenza.

Quanto è dolce l'idea della fuga da tutto il fango che ti circonda, dagli inetti, dai deboli, dalle menzogne dell'ipocrisia.

Hai sempre creduto di essere speciale, di essere forte, di essere intelligente. A cosa ti è servito? Sprofondi lentamente verso il baratro e tutti gli sforzi che ti ostini a compiere risultano vani.

Ringhia allora, e grida, e scalpita e lacera con i tuoi artigli. 

Sono una guerriera, lo sono ogni fottuto giorno della mia vita.
E sono anche una perdente, ma conservo la mia purezza.

Corri al mio fianco Mantodivolpe, ho bisogno di te più che mai. 



"I thought I'd seen hell
Thought I knew it all
Now I know too well
Hell is to wake up
But it makes all the difference

Tasting the tears in my mouth
Taking the weight on my shoulders
The hours and days of your life
Don't necessarily make you older

I'm sick of running away
Along these bloody streets
I'm sick of predators and prey
Of being everybody's end!

I've washed my hands of your blood
Thought it would leave me clean
But with time on my hands
It turned to mud forming this crust of sin

Now - to be truly free
I'll let it come to me
So -break me if you must
When you break this crust
Freedom is to see

Hear this voice, see this man
Standing before you I'm just a child
Just a man learning to yield

I hate these hands soaked in blood
I hate what these eyes have seen
Up to my knees in filth and mud
How it hurts to become clean

I was always on my mind
But never on my side
Run - but if you run away
You'll always have to hide
So if you need to run
Run for help!"

Pain of Salvation - Reconciliation



sabato 13 dicembre 2014

Primavera alla deriva


Abbiamo avuto una stupenda primavera,
dipinta a pennellate rapide e colorate su tele effimere,
sottili come ali di farfalla nella brezza di marzo.
E’ stata una primavera di una durata straordinaria,
così lunga che abbiamo voluto crederla eterna,
piena di sementi pronte a sbocciare per creare nuova vita.
E’ stata la nostra giovinezza, la terra di nessuno
su cui costruire nuovi mondi per trovarvi rifugio negli anni a venire.

Poi il vento impetuoso, quello che ci ha travolti nei tiepidi pomeriggi,
cullandoci immersi in oceani fioriti,
ha lasciato posto all’arsura e alla terra incandescente.
La nostra estate è arrivata molto tempo dopo,
ed è stata folle e rovente.
Ci ha prosciugati e abbandonati sotto un sole violento
a cercare di starci addosso anche quando faceva male.
La nostra giovinezza era già svanita,
ma l’estate bruciava nelle ossa e alimentava quella fiamma
che volevamo chiamare soltanto nostra.

Sarebbe dovuto arrivare l’autunno prima o poi,
dovevamo saperlo.
Ma ci sforzavamo di cercare il colore del grano nell’oro delle foglie cadute,
e la soffice brezza primaverile nel vento che s’alzava dalla terra;
quel vento che adesso abbracciava la polvere sporca,
e ci turbinava attorno, scoperchiando i fragili tetti del nostro rifugio.
Come scoiattoli operosi avevamo messo via ricordi
ed emozioni nei momenti felici, per poterli inseguire
ora che la decadenza dell’autunno sbiadiva tutte le cose.
Forse non ci siamo mai accorti che il sole non scaldava più la pelle,
e che dietro la corteccia spessa il verde marciva.
Non eravamo ancora pronti a lasciarci sfuggire la giovinezza.

Quando è giunto l’inverno avevamo già dato fondo
a buona parte delle nostre provviste.
I cristalli di gelo, splendidi come diamanti e feroci come demoni,
ci hanno sorpresi alle spalle.
Noi ancora volgevamo lo sguardo indietro, ai momenti più dolci,
incapaci di accettare il lento deperire
che già in quella lontana primavera germogliava,
non per vivere, ma per iniziare a morire.
Alla prima leggera spolverata di neve ci siamo stretti più forte,
ma il freddo ci ha indurito il cuore
fino a impedirci di continuare anche solo a sfiorarci.
Il nostro inverno è avanzato lento e inesorabile,
mentre attraverso bufere e tormente ancora ci cercavamo,
incapaci di accettare il suo spietato volere.

Il nostro inverno era vestito di primavera quando ci ha consumati.
Ci ha resi orfani di quella favola
che avrebbe dovuto difenderci per sempre.

lunedì 3 novembre 2014



Così presto tutto passa.
Niente si sa, tutto si immagina.
Circondati di rose, ama, bevi.
Il resto è niente.












giovedì 4 settembre 2014

Northern lands

La superficie grigia increspata oltre il finestrino del traghetto è l'ultimo brandello di nord che mi resta. La strada verso casa è ancora lunga, ma già mi preparo ad accettare la desolazione che comporterà il ritorno a una situazione che negli ultimi mesi è diventata semplicemente insostenibile. 

Ma lo faccio avendo gli occhi ricolmi del verde di terre antiche e selvagge, di cieli infiniti e costantemente mutevoli, di meraviglie indescrivibili, di persone stupende che ci hanno aiutato, ospitato, cibato. Di promesse, consigli, suggerimenti e una marea di informazioni più o meno precise che hanno bisogno di trasformarsi in una volontà chiara e perentoria. 

Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma niente ci impedirà di provare a realizzare un sogno o una disfatta. 
È il viaggio che conta, da qualche parte arriveremo.








''Era una specie di lancinante, dolorosa meraviglia. Ti senti una specie di consolazione, dentro, quasi una rivelazione, che ti spalanca l'anima, per così dire, ma contemporaneamente senti una specie di fitta, come la sensazione di una perdita irrimediabile, e definitiva. Una dolce catastrofe. Credo che c'entri il fatto di essere sempre fuori, in quei momenti lì, sei sempre lì che li guardi da fuori. 
È una cosa strana. Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre lì che lo guardi da fuori. Non ci sei mai dentro. È il tuo posto, ma tu non ci sei mai.'' 

Baricco - City

 (with Thundermoder)


(with Jesper Strömblad)

lunedì 23 giugno 2014

Il destino di una Volpe


"Perché la volpe è triste?" - chiese il Piccolo Principe 


"Perché l'hanno addomesticata e le hanno insegnato ad aspettare. Ma il rumore del vento nel grano le sussurra i nomi di coloro che ha amato e non sono più tornati."



mercoledì 14 maggio 2014

Separated chambers of the human heart

Brucio ponti e coltivo fantasmi. Lo faccio compulsivamente: scappo, distruggo, rinasco.
Ma non con te.
Quando ti ho incontrata ho capito subito che era tutto troppo speciale, fuori da ogni regola, comprensibile soltanto a noi, e inattaccabile, impossibile da scalfire.
Ti ho voluto bene come se ti amassi eppure amore non era, per questo non sarebbe potuto finire: tu ci saresti stata sempre, ne ero sicura.

La voragine che mi scavo da quando vado per il mondo è diventata profonda, ma non avresti dovuto caderci anche tu.
Non lo accetto, non lo capisco, non me ne faccio una ragione.
Sei la mia stella del nord, l'unica persona con cui sono riuscita ad essere me stessa, l'unico cuore che ho sentito battere con la netta sensazione di capirne i sussurri.
Come l'abbiamo usata male la nostra eredità.

Ti ho sempre aspettata nei mesi in cui sparivi, assorbita dal tuo mondo...dai tuoi mondi, che prima o poi si frantumavano da qualche parte e di nuovo ti affannavi a crearne degli altri.
Non sono mai stata invadente, non sono mai stata una che pretende, non ho mai amato dover chiedere qualcosa. Aspettavo, soffrivo la tua mancanza, eppure sapevo che eri sempre con me.

Perché tu ci sei sempre stata. Sempre, come se tutto il "prima" non fosse poi così importante.
Non lo so dove ti sei persa stavolta, in quale buio o in quale illusione così brillante da doverla assolutamente seguire a discapito di tutto il resto. Quel che è certo è che ti ho persa e non ho neanche capito bene come quando o perché.

Non insisterò più per ritrovare il filo che ho perso, non ti imporrò qualcosa che non desideri facendo stupide richieste.
Ti ho scritto a cuore aperto e ho avuto una risposta così banale e indifferente da agghiacciarmi il cuore. 
Non so dove ho sbagliato e non te lo chiederò mai. Quel che è certo è che per me resterai sempre sangue del mio sangue.

E se potessi farti un'ultima confessione, una di quelle che sarei capace di fare solo a te, ti direi che sono una fallita, che ora lo so con certezza. Che non faccio altro che arrancare tra mille impegni senza riuscire a concludere niente e sentendomi sempre più sola.
La differenza rispetto a prima? Che adesso neanche le illusioni mi salvano più, perché è successa quella cosa che per tutta la vita ho temuto....ho smesso di crederci.


martedì 4 marzo 2014

Triade

"Prima che siano trenta, è giunto il momento di completare la triade."
Così parlò Lunacy.

E quando mi metto in testa una cosa la faccio, non c'è scampo! Ho deciso molti anni fa che avrei fatto tre tatuaggi. Un numero perfetto, perfetto quanto basta per rappresentare le cose importanti per me. Sapevo che avrei finito l'opera, nel tempo, non sapevo quando, non sapevo come, ma avevo le idee chiare sui significati che volevo inscrivere sopra e sotto la pelle.

A volte mi chiedo se ho fatto male a lasciar trascorrere così tanti anni prima di realizzare il progetto completo, ma a giudicare da come il significato del secondo si è evoluto e ha trovato nuova forma nella volpe funambola, credo sia un bene osservare come maturano le idee assumendo linee inaspettate. 

Mancava l'Aurin, mancava...fino a poche ore fa.
Di nuovo i primi giorni di marzo, come tradizione vuole. Mi hanno persino spostato l'appuntamento che doveva essere a fine febbraio. E poi non venitemi a dire che sono una visionaria se le date continuano a coincidere anche contro il mio volere, se le ricorrenze mi perseguitano, se ogni anno a febbraio annego e a marzo riprendo a respirare.

"Due serpenti che si mordono le code in un perenne girotondo: Aurin realizza i sogni. Tutti i sogni.
In un circolo in cui Gioia e Dolore iniziano e finiscono nello stesso modo, parti non divisibili della stessa essenza.
Aurin è la guida nella lotta contro il Nulla che distrugge Fantàsia. Perchè niente è più forte di un sogno. Di un desiderio. Di una speranza.
Aurin è il sogno primordiale, la goccia di vita che dopo la distruzione ricrea."

Aurin è stato anche il nome del mio alter ego, della sognatrice, della cacciatrice indomita che scalciava nella mia mente e non trovava forma della realtà. 
Sono riuscita a diventare un po' lei, negli anni, e contemporaneamente ho smesso di sognare pur continuando a camminare su una fune.
Sono una somma contorta di paradossi che non si risolvono mai, e credo nei sogni con la stessa forza con la quale poi li distruggo.

E' un Aurin rovinato, non risplende, sta cadendo a pezzi. 
Ma è pur sempre lì, a ricordarmi che senza i desideri non sono nulla.