"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere, un cuore eccessivamente spontaneo che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale; che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta, tristi canzoni, come le strade strette quando piove."
"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani Per toccare, per curare, implorare e strangolare. Ma io non so chi sono, e tu ancora non sai chi sono..." F. R.
Vorrei raccontarti di quando caddero le stelle e persi me stessa. Vorrei farti i vedere i sogni prendere la forma di una lucida follia senza ritorno. Vorrei spiegarti perché i desideri hanno la profondità di due occhi verdi che si perdono nella luce del tramonto, perché la voce di Mika Tauriainen suona come neve mai caduta in inverni dimenticati, perché le cose si rompono e non ce ne facciamo una ragione neanche dopo molti anni.
Vorrei poterti parlare dell'amore come nessuno lo ha fatto mai, descriverti la sua voce, il modo in cui mi guardava, le poesie meravigliose che ci siamo scritti, le tragedie che si sono consumate nella distanza infinita di una retta che collega infiniti punti, destinati a congiungersi senza futuro.
Vorrei darti il mio cuore affinché tu possa vivere la favola come l'ho vissuta io, senza tramite di parole, giudizi, interpretazioni. Ma la verità è persa per sempre, sepolta sotto i cocci delle certezze infrante, e non c'è modo in cui io possa davvero raccontartela.
Serbiamo tesori inestimabili di ricordi soltanto nostri, celati nelle profondità della memoria. Quelli di cui non parliamo mai, se non in qualche serata un po' alcolica, per metafore o allusioni, senza dire poi nulla, lasciando che le parole incespichino e si perdano nei discorsi di qualcun'altro che inevitabilmente ci parlerà sopra.
Vorrei che ci fosse un modo di raccontare la storia d'amore più bella che io abbia mai vissuto senza sentire il peso della colpa.
Vorrei che quel bracciale non si fosse mai rotto. Sette anni sono davvero tanti. Mi sono sempre chiesta come sarebbe successo, quando o perché. Immaginavo che avrei recepito una sorta di segno, così come è sempre stato con lui: un labirinto di coincidenze e magie difficili da spiegare.
Invece no...in una sera di fine estate, al ritorno dalle vacanze, a pochi giorni dall'acquisto della casa, in un periodo in cui tutto sembra cambiare eppure niente viene stravolto....*fran*. Rotto.
“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran." (Baricco)
Sorrido al ricordo di quel giorno, al pretesto che ci ha portati ad avere quei due fili di stoffa e ad intrecciarli con le nostre mani, le nostre vite, i nostri desideri che avevano un destino già segnato.
Tanto più ci sentivamo fragili e senza futuro, tanto più era smisurata la bellezza effimera del nostro sogno.
Non sono mai guarita davvero. Ho perso tutto e avuto ogni cosa nello stesso istante.
Niente è più stato lo stesso nella mia vita. La purezza delle certezze, persa per sempre.
Ho una foto di quei giorni, e anche a distanza di tanto tempo mi trasmette intensamente la desolazione e la forza che ho provato in quei momenti.
E' strano vedere la mia pelle ancora candida e quasi del tutto inviolata. Ma covavo nelle viscere tutto il nero che poi sarebbe trapelato, un po' per volta, lasciando le cicatrici che ora mi porto addosso sotto forma di inchiostro.
E' iniziato tutto da lì, da un sogno, una spirale...una voragine.
My story to tell.
Ci sono cose che rimangono sempre uguali sé stesse per inedia, altre che invece sopravvivono agli anni perché si attaccano alla pelle e si insinuano nel cuore così in profondità da conquistare la forza di adattarsi infinitamente, di strisciare come un serpente verso nuove forme.
Ho sempre avuto poche certezze nella mia esistenza, una di queste è la musica. E il mio fanatismo introspettivo legato alla mia sensibilità assetata di manifestazioni emozionali ha eletto pochi nomi che fanno parte del mio olimpo personale delle divinità. Quelle divinità che non preghi ma adori con intima devozione, perché sono in grado di creare piccoli miracoli ogni volta che alzi il volume e la musica prende forma.
Quanta musica ho divorato, eppure sono pochi i nomi che amo alla follia, quelli che ho seguito in capo al mondo se necessario, quelli che non c’è lavoro/stanchezza/difficoltà che tenga. Quelli che hanno scritto pagine indelebili della mia vita nel momento in cui hanno regalato la loro arte al mondo, e nel mondo questa è entrata nelle vite dei singoli, si è trasformata, ha trovato significati infinitamente diversi.
Sono passati quindici anni da quando ho sentito per la prima volta Irreligious dei Moonspell. È stato amore totale, una folgore a ciel sereno che avrebbe segnato il resto della mia vita scandendone le tappe e regalandomi emozioni uniche.
Se c’è una cosa che amo fare è legare momenti della mia vita a delle canzoni: è l’unico modo che conosco per rendere dei ricordi indelebili almeno a livello emotivo. Le forme scompaiono, i colori sbiadiscono, la mente non può serbare tutto ciò che vorrei. Ma il cuore sì, il cuore riconosce quelle note ed improvvisamente è come se il tempo non fosse mai passato.
Extinct è un album che sto amando moltissimo. Ho già avuto modo di apprezzarne l’enorme impatto che riesce ad avere live durante la prima tappa del tour. In quell’occasione ho avuto il piacere di intervistare Pedro e di stare un po’ nel backstage a chiacchierare con loro, ma ho dimenticato le foto. No, non è così grave, ma è triste per una come me, così fissata con i ricordi.
Mi piace riguardare le vecchie immagini delle prime volte in cui li ho incontrati, quando il mio cuore di lupo era ancora così gonfio di adorazione che quasi non riuscivo a parlare con quell’uomo gentile che negli anni ha continuato a ricordarsi di me.
Ieri è stato il momento della seconda tappa del tour. Anche questa volta tanta strada e tanta stanchezza tra lavoro, vecchiaia, e impegni vari. Ma ho una persona che mi ama e mi sostiene anche in questo, nonostante non possa capire questo mio enorme desiderio, e gliene sono enormemente grata.
Mentre mi truccavo, davanti allo specchio, osservavo le rughe che inutilmente provo a tamponare con del correttore che non è mai abbastanza, e ripensavo alle prime volte, quando ero giovane e terribilmente sognatrice, quando mesi prima iniziavo a preparare i regali e i biglietti per Fernando, sperando in cuor mio di poter vedere ancora una volta quel bagliore dorato che hanno i suoi occhi, abbracciarlo e dirgli inutilmente altre mille volte “grazie”.
Presa da nostalgia sono andata a guardarmi qualche foto. No, non sembravo nemmeno io, doveva essere qualcuno che mi assomigliava e che sentivo molto affine. Sono tornata in bagno e ho frugato nel mio più vecchio beauty case, ritrovando quell’ombretto viola che avevo comprato con lui, a Vicenza, quando ancora c’era il velvet goth e i vestiti costavano troppo per le mie tasche. Fissavo lo specchio eppure era come rivedere un film: lui a casa mia, che per la prima volta aveva accettato di accompagnarmi ad un concerto, schivo com’era, ed io che mi truccavo con quell’ombretto per poi lasciare che mi facesse decine di foto. Quella sera suonavano i Moonspell.
Scadono gli ombretti? Forse sì, ma io quello l’ho conservato, e non solo, l’ho usato ieri sera, dopo così tanti anni. Sembra una stupidaggine, lo so, ma è sottile la linea che attraversa le nostre esistenze, collegando qua e là punti prima sconnessi. Quella linea può dare un senso alle cose più banali, creando connessioni magiche e silenziose che solo l’anima sa apprezzare.
A make-up completato ho studiato a lungo il mio viso. Non sono riuscita a vedere niente di quella ragazzina, eppure la luce negli occhi al pensiero del concerto imminente mi è sembrata proprio la stessa. Dopo tutti questi anni, dopo averli visti e rivisti, dopo aver sognato e osservato i miei sogni avverarsi. Sì, l’emozione è sempre la stessa. Così come succede con l’amore, quello vero, quando è in grado di mantenere sempre viva la fiamma primordiale che ha incendiato il cuore. Come quando ti svegli una mattina qualsiasi, dopo anni, accanto alla persona che ami, e ti accorgi che il tuo cuore la riconosce ancora come se fosse la prima volta.
Non ero mai stata prima in quel locale. Siamo arrivati di corsa dopo due ore di strada in tempo soltanto per il secondo gruppo spalla. Il palco era veramente grande, lo spazio per i fotografi una trincea piena di ostacoli mortali. Ma lo spirito di sopravvivenza del fotoreporter metal non ha eguali.
Esibisco il mio bel pass e cerco di trovare il mio angolino in trincea tra gli altri fotografi d’assalto, in equilibrio precario. Le luci si spengono, partono le note di Love you to death dei Type O Negative. Peter, il più grande e compianto “extinct”, ha una voce che pervaderà i secoli a venire, non ho alcun dubbio. Il tributo dei Moonspell a questo grande uomo mi commuove anche stavolta. Si accendono solo due luci verdi in suo onore, e nel silenzio della sala la canzone scivola nota dopo nota fino alla fine. Un’intro sublime. Mi siedo a terra e ascolto ad occhi chiusi: ancora non sono saliti sul palco e già sono riusciti ad emozionarmi.
Il concerto è una figata, come sempre. Mi affanno per fare il mio dovere di fotografa eppure non riesco a tenere la testa a bada. Urlo con loro, salto, esulto, e non mi sembra vero di avere ancora la voce alla fine. Aires mi saluta appena mi vede sotto il palco a inquadrarlo, Fernando mi ammicca sorridendomi. Sono già felice che metà basterebbe. Ma c’è dell’altro: una versione di Magdalene che non mi aspettavo assolutamente, e due delle canzoni che più amo e che non sentivo da parecchio tempo live: Nocturna ed Everything Invaded. Sono pezzi di vita che mi scorrono davanti agli occhi e in profondità nel flusso del mio sangue. Quindici anni fa come oggi tutto ha improvvisamente un significato, sempre diverso, sempre importante.
A concerto finito la birra è d’obbligo, un po’ di chiacchiere con alcuni amici trovati lì, e l’attesa per il meet and greet. Come al solito ho portato loro qualche regalino, Aires mi vede da lontano e mi chiama per nome con evidente felicità quando vede il pacchetto. È facile conquistare gli iberici con degli alcolici!
Foto di rito, e attendo che la calca diminuisca prima di avvicinarmi a Fernando. Avevo così tanta voglia di rivederlo…è una sensazione strana: non posso dire che sia come rivedere un vecchio amico con cui hai condiviso parte di vita, ma è qualcosa di molto simile. Sono emozionata nonostante sia la millesima volta che ci parlo, e ringrazio il mio cuore per essere ancora capace di emozionarsi così. Baci e abbracci, il mio cuore si calma. Sì, sono agitata ma la sua presenza mi calma.
Gli chiedo la follia di scrivermi con la sua calligrafia una frase che sento il bisogno di tatuarmi: ride, dice che questa non gli era ancora capitata. Rido anch’io, perché nella fretta di partire dopo lavoro ho trovato solo un quadernetto rosa che avesse pagine bianche dove fargliela scrivere, e non dimenticherò mai l’immagine di lui chino su quei quadretti che si concentra per scrivere in modo leggibile. Inchiostro su carta, inchiostro sulla pelle…le cose davvero importanti devono essere indelebili.
Finito il meet and greet chiacchieriamo ancora, di musica, di cazzate, di vita. Nel backstage c’è così tanta puzza di cannoni che ringrazio di non vivere più con i miei genitori da anni o avrei avuto un paio di cosette da spiegare. È tardi, fottutamente tardi, ma c’è la birra, c’è la musica, c’è la compagnia: chi se la perde l’occasione di stare un altro po’ con loro? Altri momenti indelebili, e la sensazione di essere parte di qualcosa. Sono felice? Sì, sono felice. La musica è tutto, la musica unisce. Un ultimo abbraccio per salutarci. Mi mancherà così tanto.
Il mio cuore di lupo batte più forte per un istante e poi si calma. È quello il branco, è quella la luna più luminosa. Mi viene voglia di ululare ancora, come all’inizio di Full Moon Madness, all’unisono, per dire tutto quello che le parole tradiscono.
"Ci sono due specie di persone. Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono. E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita. Ci sono gli attori. E ci sono i funamboli." Neve - 雪 - M. Fermine
"Ancora per poco posso scrivere…Ma verrà un giorno in cui la mia mano sarà lontana da me, e quando le ordinerò di scrivere, scriverà parole che non voglio.
Arriverà il tempo dell’altra interpretazione, e non rimarrà più una parola sull’altra e ogni senso si dissolverà come nube e ricadrà come acqua. Nonostante la paura, sono come uno che sta davanti a qualcosa di grande, e ricordo che un tempo mi succedeva spesso qualcosa di simile, prima che cominciassi a scrivere. Ma questa volta sarò io ad essere scritto. Io sono l’impressione che si trasformerà. Ah, manca un niente, e potrei capire, approvare tutto questo. Un passo soltanto e la mia profonda miseria diverrebbe beatitudine. Ma non posso fare questo passo, sono caduto e non posso più rialzarmi, perché sono a pezzi."
"Guàrdati dalla luce, che rende più vuoto lo spazio. Non girare la testa, che a volte un’ombra non s’alzi alle tue spalle, come il tuo despota. Meglio se fossi rimasto al buio, forse, e il tuo cuore sconfinato avesse cercato d’essere il cuore greve dell’Indistinto."
"Prima che siano trenta, è giunto il momento di completare la triade."
Così parlò Lunacy.
E quando mi metto in testa una cosa la faccio, non c'è scampo! Ho deciso molti anni fa che avrei fatto tre tatuaggi. Un numero perfetto, perfetto quanto basta per rappresentare le cose importanti per me. Sapevo che avrei finito l'opera, nel tempo, non sapevo quando, non sapevo come, ma avevo le idee chiare sui significati che volevo inscrivere sopra e sotto la pelle.
A volte mi chiedo se ho fatto male a lasciar trascorrere così tanti anni prima di realizzare il progetto completo, ma a giudicare da come il significato del secondo si è evoluto e ha trovato nuova forma nella volpe funambola, credo sia un bene osservare come maturano le idee assumendo linee inaspettate.
Mancava l'Aurin, mancava...fino a poche ore fa. Di nuovo i primi giorni di marzo, come tradizione vuole. Mi hanno persino spostato l'appuntamento che doveva essere a fine febbraio. E poi non venitemi a dire che sono una visionaria se le date continuano a coincidere anche contro il mio volere, se le ricorrenze mi perseguitano, se ogni anno a febbraio annego e a marzo riprendo a respirare.
"Due serpenti che si mordono le code in un perenne girotondo: Aurin realizza i sogni. Tutti i sogni. In un circolo in cui Gioia e Dolore iniziano e finiscono nello stesso modo, parti non divisibili della stessa essenza.
Aurin è la guida nella lotta contro il Nulla che distrugge Fantàsia.
Perchè niente è più forte di un sogno. Di un desiderio. Di una speranza. Aurin è il sogno primordiale, la goccia di vita che dopo la distruzione ricrea."
Aurin è stato anche il nome del mio alter ego, della sognatrice, della cacciatrice indomita che scalciava nella mia mente e non trovava forma della realtà.
Sono riuscita a diventare un po' lei, negli anni, e contemporaneamente ho smesso di sognare pur continuando a camminare su una fune.
Sono una somma contorta di paradossi che non si risolvono mai, e credo nei sogni con la stessa forza con la quale poi li distruggo.
E' un Aurin rovinato, non risplende, sta cadendo a pezzi.
Ma è pur sempre lì, a ricordarmi che senza i desideri non sono nulla.
“Nel
libro la volpe insegna al piccolo principe il significato che bisogna
dare alla vita mediante i riti, talvolta trascurati o dimenticati,
dell’amicizia e dell’amore, che consentono di "addomesticare", cioè di
creare dei legami e quindi di conoscere realmente le cose, piano piano,
giorno dopo giorno.
Il
Piccolo principe cerca gli uomini, cioè la legge per vivere nel mondo
degli uomini, e la volpe, saggia e non astuta come nelle favole
tradizionali, spiega il modo attraverso il quale è possibile la
conoscenza, tramite "l’addomesticare"; certo, la conoscenza implicherà
poi anche la sofferenza, ad esempio quella del distacco, ma varrà la
pena soffrire se poi in cambio si guadagnerà "il colore del grano", vale
a dire una nuova visione delle cose.”
In
questo regno diviso tra tenebre e stelle, ammantato di nebbia e
irradiato di sole, quanti uomini sanno contare, regnare, bere, vivere,
amare?
Solo coloro che hanno imparato a trovare le tracce di una
volpe sanno cosa significhi amare senza possedere, desiderare senza
sacrificare.
E unicamente una volpe addomesticata può sorridere
dei colori del grano, celando in quel sorriso il segreto di una felicità
che non contempla più soltanto sé stessa.
La
saggezza arriva alla fine di una strada tortuosa, nascendo da campi
senza grano, e passando attraverso le vite di uomini piccoli quanto i
loro minuscoli pianeti.
La saggezza arriva infine per la volpe,
scorrendo lungo il dorso ammantato di soffice pelo rossiccio,
mischiandosi al peso del dolore, dell’amore, di tutto il sentire che su
quella fragile schiena si è accumulato.
La
saggezza contempla l’amore, ma l’amore non contempla nient’altro che sé
stesso e il suo esistere, in tutti i colori e le forme del grano, del
cielo, delle stelle. In tutti i nomi che, in suoni ogni volta diversi, richiamano un solo nome. In
ogni attesa, in ogni anelito, in tutta l’immensità del vento tra le
spighe che nessuno possiede, ma che la volpe adesso può avere, ogni
volta che lo desidera.
L’essenziale è invisibile agli occhi, ma lì dove si ripone il cuore c’è un giardino stellato che nessuno potrà mai calpestare.
Un
giorno hai giurato che saresti stato il mio principe, un principe
migliore di tutti quelli che avevo incontrato. E hai promesso che mi
avresti insegnato la differenza tra desiderio e bisogno, affinché la
sofferenza potesse diventare qualcosa di più dolce, acquistando
consapevolezza.
Ricordo ancora a perfezione quella promessa, sussurrata attraverso il fumo davanti al tuo viso e le lacrime davanti al mio. Ero terrorizzata dalla mia voragine, così ho deciso di entrare nel tuo labirinto.
Adesso, quando ti guardo, ti vedo come un gigante, il guardiano di tutte le chiavi che nella mia vita ho fabbricato. Diverso da tutto ciò che concepisco eppure affine, così accondiscendente e proteso verso di me.
Sei un dio che pervade ogni cosa che tocca, e come un angelo rinnegato io sono quello in grado di distruggerla. Hai
addomesticato il lupo che è dentro di me, hai ammaliato la volpe e le
hai insegnato che nulla è scontato, nemmeno i lieto fine delle storie
per bambini.
Trattengo
il respiro e ti osservo in silenzio mentre dormi: sei solo un corpo
abbandonato nella penombra, un eroe che, deposti i vessilli, riposa al
sicuro.
Potrei restare ore a guardarti dormire, avvolto da quel
sortilegio senza memoria che è il sonno. E penso a quanto sarebbe vana
la mia vita se tu non fossi lì, se io rimanessi a fissare il cuscino
pensando a tutto il tempo perso, scoprendo che la mia vita è senza
significato.
Ma
tu sei lì, a riempire i miei giorni, i miei occhi, il mio cuore. Nel
ciclone informe che tutto travolge quando scende la notte, tu sei il
centro immobile, l’unico punto certo che posso continuare a fissare
senza smarrirmi, rincorrendoti attraverso i cunicoli del nostro
labirinto che non sapremo mai dove portano.
“Neve
era diventata funambola per amore dell’equilibrio. Lei, la cui vita si
svolgeva come un filo tortuoso, disseminato di viluppi che intrecciavano
e scioglievano tra loro sinuosità della sorte e insipidezza
dell’esistenza, eccelleva nell’arte sottile e insidiosa del fare
evoluzioni su di una fune tesa. Non si sentiva mai così a suo agio come
quando camminava sul filo a mille piedi dal suolo. Dritto davanti a sé.
Senza mai deviare d’un solo millimetro dalla rotta. Era il suo destino.
Avanzare passo dopo passo. Da un capo all’altro della vita.”
(pic by Carla Manfredi)
“…in
realtà per lei la cosa più difficile non era mantenersi in equilibrio, e
nemmeno dominare la paura, e tantomeno camminare su quella fune
infinita, su quel filo di musica intervallata da vertigini abbacinanti.
La cosa più difficile, quando avanzava nella luce del mondo, era di non
tramutarsi in fiocco di neve.”
Chi
è perso nel labirinto impara a sue spese che la libertà non consiste
tanto nel trovare l’uscita, quanto nel percorrere la strada che si snoda
tra infiniti svincoli pregni di valore. La voragine ha cercato di
annullarmi, il labirinto mi ha ri-insegnato il senso delle cose, ma io
sono funambola, e questa è per me l’unica via possibile.
Una corda tesa dritta avanti, sottile e fragile, che si erge maestosa sopra l’ignoto. Non
vedo mai dove la fune termina, ma avanzo imperterrita, sospesa al di
sopra di quella voragine, decisa a temerla, sfidarla, amarla. Quante
energie perse a scappare, a serrare gli occhi per non vedere, a tentare
con codardia di aggirare un ostacolo che non si sposterà mai? La fune
annulla ogni cosa e traccia vie nuove, anche se il prezzo da pagare è
una ricerca d’equilibrio che non può arrestarsi mai. Funambola per
scelta, vedo ancora la mia voragine, ma la fisso dritta negli occhi e la
calpesto, lasciandole il desiderio di potermi avere un giorno, quando
l’equilibrio verrà meno, o qualcos’altro attenterà a quel filo labile
che si erge come mia salvezza.
“Era
il tempo in cui amavo guardare le stelle avvolta dal chiarore lunare,
il tempo in cui le notti erano lunghe e gelide, ma ammantate di preziosi
e fragili biancori. A quell’epoca mi capitò qualcosa di incredibile, di una bellezza tale da farmi dimenticare tutto il resto. Per
inseguire la luce che avevo intravisto sono salita su, sempre più in
alto, ed ho iniziato a muovere i miei passi rapidi su una fune sospesa
nel cielo. Lontano da tutto, ero inebriata da quella sensazione di
leggerezza, e mi sentivo fragile e precaria, ma sempre più vicina alle
stelle. Volteggiare su quella corda tesa, in bilico sul crinale della vita, è stato il sogno più bello che mai si possa immaginare...
Di
tanto in tanto mi capita ancora di volgere lo sguardo alle stelle
lontane, consapevole che una parte di me è rimasta alla deriva tra le
nuvole, ed un brivido mi pietrifica al ricordo di quando volteggiavo nel
cielo inseguendo un sogno. Figlia della terra, rinnegata del cielo.”
"Il mio carattere è del genere interiore, autocentrico, muto, non autosufficiente, ma perduto in se stesso."
Ricorrenze.
Gli anni sono passati, avidi e frettolosi nel loro incedere. Erano i
primi giorni di marzo, e così sarà anche stavolta. Avevo sempre
desiderato un segno indelebile sulla mia pelle, ma ero convinta che
l’unico soggetto che potesse andar bene per sempre dovesse per forza
essere qualcosa che riguardasse sé stessi, soltanto sé stessi. Poi invece mi sono innamorata.
“I have dwelled in the dark so long that I have become the night.”
Ti
ricordi quando ti ho chiesto di disegnare la mia ombra? L’hai fatto
anche se continuavi ad insistere perché io non facessi quella “follia”. E
l’hai creata perfetta, esattamente come la volevo.
Una sagoma
nera, una creatura fantastica, estranea al reale, aliena, nata senza
possibilità di vivere normalmente, adagiata su una luna completamente
buia. Una creatura dotata di ali, ma troppo grandi per non esser
goffa. Solo un’ombra malinconica, solitaria come la luna. Una luna che
mostra la sua faccia buia. L’unica luce viene da una stella sperduta: il mio faro nell’oscurità.
Volevo
sulla pelle la mia ombra, la mia gemella rinnegata. Lei che mi sta
sempre alle spalle, lei che è morta, lei che porto ancora con me, lei
che nessuno riusciva mai a trovare. E volevo che parlasse di me, e di te, e di come l’amore cambia la vita. Volevo un simbolo, un custode silenzioso che vegliasse proprio lì dove io non riuscivo a vedere.
A
distanza di tempo mi chiedo se lo facciano apposta le cose ad assumere
significati diversi, tutti in egual modo valevoli, man mano che
l’esistenza evolve e si trasforma. Quel che un tempo vegliava, ergendosi
a simbolo di una luce nelle tenebre, è adesso tornato all’essenza sua
originaria: un’ombra alle spalle. Un’ombra che svanisce
inesorabilmente con il tempo, ma che non dimentica il giorno in cui
qualcuno l’ha trovata. E se scompare non è perché si perde, ma perché si
nasconde sotto la pelle che si è fatta suo mausoleo. Ancora oggi mi piace ricordarmi di lei, perché ogni tanto sento la sua voce, che riecheggia nell’oscurità in cui l’ho relegata.
Questa volta sarà il tempo di Neve, della Volpe funambola, del mio Desiderio. Tutto insieme, come tutto è parte di me. Sì, perché poi mi sono innamorata di nuovo.
"Confessa
pure; ma confessa ciò che non senti. Libera pure la tua anima dal peso
dei suoi segreti raccontandoli, ma meglio sarebbe se il segreto che
racconti non lo avessi mai rivelato. Mentisci a te stesso prima di
raccontare quella verità. Esprimersi è sempre sbagliare."
“Neanche dipingendo questo vetro di ombre colorate nascondo a me stesso il rumore della vita altrui mentre la guardo dal lato opposto.”
“La banalità mi tormenta. Stanco, chiudo le imposte delle mie finestre, escludo il mondo e per un momento ho la libertà.”
“C’è una grande stanchezza nell’anima del mio cuore. Mi intristisce colui che non sono mai stato e non so che specie di nostalgia sia il ricordo che ho di lui. Sono caduto addosso alle speranze e alle certezze, con tutti i tramonti.”
“Non
so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità non so con quale
sincerità parlo. Sono variamente altro da un io che non so se esiste.”
“Se
il mondo può essere considerato un’illusione e un fantasma, tutto
quello che ci succede possiamo considerarlo un sogno, qualcosa che ha
finto di esistere mentre stavamo dormendo. E allora nasce in noi un’indifferenza sottile e profonda verso tutte le disgrazie e le sciagure della vita.”
"La sete di essere completo mi ha lasciato in questo stato di inutile pena. La futilità tragica della vita."
Non è difficile prendersi cura di un’ombra. Ha la semplicità monocroma di un lago notturno, che per quanto sia sfuggente nelle sue sponde mutevoli, ha un placido cuore nero adagiato nella culla del suo tranquillo stagnare.
Ha bisogno di poche cose un’ombra. Spesso è abbastanza semplice da essere quasi banale, così banale da diventare incomprensibile.
No, non è difficile prendersene cura. Il difficile viene prima: bisogna trovarla, ed è una questione molto meno scontata.
Scorgere un’ombra nel marasma informe del buio è cosa da temerari. Le stelle più brillanti le vogliono tutti, le ombre no.
E con quanta arrogante determinazione la gente si ostina a trovar bella soltanto la luce. Le ombre sanno essere così profonde, perché nessuno se ne accorge?
Una volta qualcuno si è inoltrato in terreni impervi e sconosciuti, e forse un po’ per caso, o forse un po’ per merito, quell’ombra nascosta tanto bene è riuscito a trovarla.
E l’ha presa per mano, semplicemente.
Perché non c’è bisogno d’altro per prendersene cura: basta non perderla di vista e stringerla forte, così forte che quasi diventa la propria ombra.
Un tempo ho scelto di ricordarmene, e quel simbolo l’ho voluto alle spalle, come qualcosa di rassicurante e protettivo. Un custode silenzioso che si preoccupava di vegliare proprio lì dove io non riuscivo a vedere.
Il mio custode delle ombre, quelle ombre che si nascondono dall’altra parte degli astri più lucenti.
A distanza di tempo mi chiedo se lo facciano apposta le cose ad assumere significati diversi, tutti in egual modo valevoli, man mano che l’esistenza evolve e si trasforma. Quel che un tempo vegliava, ergendosi a simbolo di una luce nelle tenebre, è adesso tornato all’essenza sua originaria: un’ombra alle spalle.
Un’ombra che svanisce inesorabilmente con il tempo, ma che non dimentica il giorno in cui qualcuno l’ha trovata. E se scompare non è perché si perde, ma perché si nasconde sotto la pelle che si è fatta suo mausoleo.
Non sono nostalgica, né disfattista, né pessimista riguardo al presente o al futuro. Né lamento alcunché o desidero cose che più mi appartengono.
Voglio solo ricordarmi di Lei, perché ogni tanto sento la sua voce, anche se nell’oscurità io da sola non riesco mai a trovarla.
"Lei brilla in un mondo pieno di mostruosità.
Lei è importante quando tutto il resto è senza senso.
Fragile.
Non vede la sua bellezza.
Cerca di scappare via.
A volte nulla sembra meritare d’esser salvato.
Non posso guardarla scivolare via.
- Non ti lascerò andare in pezzi. -
Lei legge le menti di tutte le persone che le passano accanto
Sperando che qualcuno riesca a vedere.
Se solo potessi aggiustare me stesso, io..
Ma è troppo tardi per me. - Non ti lascerò andare in pezzi. -
Troveremo un posto perfetto dove andare,
in cui potremo correre e nasconderci.
Costruirò un muro e potremo tenerci dall’altra parte.
Ma loro continueranno ad aspettare..
..e a picconare…
..e picconare..
..picconare..
È qualcosa che devo fare.
Ero lì anch’io.
Prima di qualsiasi altra cosa,
io ero come te."