~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

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mercoledì 8 marzo 2017

Anesthesia




Like a flash of light in an endless night
Life is trapped between two black entities
'cause when you trust someone, illusion has begun
No way to prepare, impending despair

Did one say so cruel: "'Tis better to love than lose"
Ignorance is bliss - wish not knew your kiss
So many times been burned, this lesson goes unlearned
Remember desire only fuels the fire - liar

Betwixed birth and death, every breath regret
I pity the living, envy for the dead
Emotionally stunned, in defense, I'm numb
I'd rather not care than to be aware - be scared

I don't need love

Are a thousand tears worth a single smile?
When you give an inch, will they take a mile?
Longing for the past but dreading the future
If not being used, well then you're a user and a loser

World reknowned failure at both death and life
Given nothingness, purgatory blight
To run and hide, a cowardly procedure
Options exhausted, except for anesthesia 

...and I don't feel... Anything. 



* * *

Ricorrenze.
La voragine attende silenziosa. Oblio profondo, grida senza risposta.
La verità è che non c'è una ragione, non c'è mai stata.
Nessun filtro, oltre il punto di non ritorno.
Senza alcun ragionevole limite l'oscurità inghiotte i brandelli di ogni certezza.
Liar.
Non ho più paura. Non sento niente.

* * *



I Pain of Salvation sanno sempre come darmi la canzone giusta nel momento giusto.

I still smell of sweat
Still the scent of my giving in
Try to feel regret
But I want it to stay on my skin

I still fantasize
Close my eyes to be wrong again
Still those fuck-me eyes
As I'm licking the palm of my hand

How the hell am I supposed to keep myself
When you are so damn far away
And everything feels meaningless
And I am not mine

How the hell am I supposed to keep myself
When you are so damn far away
And everything feels meaningless
And I am not mine

I still smell of sex
Still her taste on my fingertips
Try to feel remorse
But it's hard with her wet on my lips

How the hell am I supposed to keep myself
When you are so damn far away
And everything feels meaningless
And I am not mine

How the hell am I supposed to keep myself
When you are so damn far away
And all I do seems meaningless
And I am not mine

I need something of my own
Something with a locked door
A room just for me alone
Something that I can control

I need something of my own
I need something cutting to the bone
I need something that is mine
If that must be guilt, then fine

(How the hell)
I wanted something nice, but fine
This guilt is a hole but it's mine
I wanted something nice
This guilt is a hole but it's mine!


giovedì 30 gennaio 2014

Dettagli


 Pensavo ai ricordi, poco fa, mentre mi asciugavo i due metri di capelli dopo la palestra, e il lettore mp3 passava canzoni che non avevo voglia di sentire.
Pensavo a quello che mi salta alla mente appena penso distrattamente alle persone a cui ho voluto bene, le persone con cui ho mischiato cuore e sangue. Pensavo a come restano in mente certi dettagli secondari, bizzarri, estremamente materici. Hanno odori precisi questi dettagli, e riesco a ricostruirli con incredibile verosimiglianza nonostante il tempo passato. Tutto il resto è già sfuocato, poco chiaro, attenuato dall'incapacità di ricordare volti, espressioni, avvenimenti, parole. Gli anni passano e il vortice cancella.

Però quei dettagli rimangono. E riaffiorano alla memoria così, quando meno te l'aspetti, estemporanei. Ti passano davanti agli occhi mentre stai fissando la strada, o quando sei al lavoro, nei momenti più impensabili, anche senza che qualche connessione logica ti abbia fatto pensare a quella persona. 
E li scacci via subito, ma restano quel tanto che basta per darti fastidio, con la loro ancora così forte concretezza, quando sai bene che quelle persone sono distanti ormai anni luce da te.

Sono in macchina e sto guidando sulla romea, c'è il sole ma fa freddo, e tu mi scrivi che vuoi che ascolti quella canzone prima di vederti, io prendo l'mp3 nero e arancione e la cerco tra mille altre, e nel mentre penso che è stupido doverla ascoltare proprio in quel momento, perchè è una canzone dell'addio, non del nuovo incontro. Ma lo faccio lo stesso, e mentre penso a quanto sei stupido a chiedermi una cosa simile sorrido, perchè so che è proprio la poesia che metti in quel tuo romanticismo ineguagliabile che mi ha fatto innamorare di te. 
Quando ho riascoltato quella canzone, pochi giorni dopo, c'era stato veramente un addio, e tutto aveva trovato improvvisamente senso.

Sono seduta sullo scalino della cucina, ho una camicetta da notte leggera e i piedi scalzi sul pavimento gelido. Ho lo smalto mezzo sbeccato e i capelli spettinati. Lui sta cucinando la cena e io lo osservo mentre continuo a sfornare chiacchiere inutili. Mi piace che si stia prendendo cura di me, mi piace la sua voce, le occhiate che mi lancia di tanto in tanto. Mi piace guardarlo, e immaginarlo mio. Mi piace essere lì, di nuovo, nella città che mi ha sempre frantumato il cuore. 
L'odore del curry e quello della sua pelle, li posso sentire ancora a perfezione.

Sono sul corso a Padova, il sole sta tramontando dietro i palazzi e i suoi raggi caldi mi arrivano in pieno viso, di lato. Fa caldo, ho sudato, e ho addosso quella canotta nera che mi sta malissimo ma secondo me è molto metal. Sono giovane, bionda e sognatrice. Il suo viso è lucido per il sudore, e quella camicetta è davvero orribile. Ma lui è lo stesso bellissimo. Ha due occhi enormi che mi fissano e sorridono. Mi dicono in un secondo tutto quello che desidero, tutto quello che avrei potuto farmi bastare per gli anni a venire. 
Capisco così tante cose in un sorriso talmente bello che vorrei dimenticare tutto il resto che è venuto. Ma questo non è il ricordo, questa sono io, vecchia, rossa e cinica, che rivivo il passato e non riesco ad accettarne le conseguenze.


martedì 27 agosto 2013

Come closer...to God.


Hey pig, spero di incontrarti sai? Proprio là, alla fine della spirale. 
Voglio vedere gli occhi scuri in cui è sepolta la voragine che mi ha annientato. 

Non ci crederai ma la piccola volpe è cresciuta. 
E adesso vuole ridere, riderti in faccia come i milioni di sonagli che hanno rimpiazzato le stelle.




E se non ci sarai mi basterà lui, la sua voce, il suo tormento. 
Sarà come morire di nuovo, ma con la consapevolezza che si può sempre rinascere.

 “Hey piggy…nothing can stop me now….cause I don’t care anymore.”


"Hey pig? yeah you
hey pig piggy pig pig pig
all of my fears came true


black and blue and broken bones you left me here I'm all alone
my little piggy needed something new


nothing can stop me now, I don't care anymore
nothing can stop me now, I just don't care


hey pig, nothing's turning out the way I planned
hey pig, there's a lot of things I hoped you could help me understand

What am I supposed to do? I lost my shit because of you
 
Nothing can stop me now, I don't care anymore
Nothing can stop me now, I just don't care
 nothing can stop me now
you don't need me anymore."

venerdì 10 maggio 2013

Eraser

Sono viva.
Ho una lista di arretrati da paura.

Dovrei scrivere almeno una decina di post. Ragion per cui non scriverò proprio un bel niente, salvo poi pentirmi più in là per non aver fermato nessuno di questi pensieri.
(Del resto ci si mette pure spritz che mi cancella quel poco che ho scritto.) Se il cosmo decide c’è poco da fare.

Stanno succedendo tante cose.
Mesi di calma piatta e poi si svegliano tutti nello stesso momento.

Vorrei scrivere della primavera, di stelle, di neve. Di Trent, dei miei incubi, delle ambizioni nelle cornici.
Una volpe a mosaico, con i pezzi scombinati.

sabato 2 marzo 2013

Lost Highways


Ogni volta che lo rivedo me ne innamoro un po’ di più.
E poi faccio sogni strani, e risvegli ingarbugliati tra universi paralleli.

Adoro il modo in cui The Perfect Drug condensa le sensazioni del film.
Ho sempre amato il finale di questa canzone, la supplica arrendevole e dolce di chi è ormai andato oltre il punto di non ritorno, oltre la follia, soltanto per amore.

“Without you everything falls apart.
Without you...it’s not as much fun to pick up the pieces.”


 

martedì 12 febbraio 2013

Stars shall fall


“Mi lasci violarti, mi lasci dissacrarti
mi lasci penetrarti, mi lasci complicarti .
Aiutami, ho distrutto il mio interno,
aiutami, non ho un’anima da vendere .
Aiutami a fare l’unica cosa che funzioni per me,
aiutami a fuggire da me stesso.

Voglio fotterti come un animale,
voglio sentirti dall’interno,
voglio fotterti come un animale,
la mia intera esistenza è danneggiata.
Tu mi avvicini a dio.

Puoi avere il mio isolamento,
puoi avere l’odio che esso porta.
Puoi avere la mia assenza di fede,
puoi avere tutto ciò che è mio.

Aiutami a distruggere la mia ragione,
aiutami, sento il tuo odore.
Aiutami, tu mi fai perfetto,
aiutami ad essere qualcun altro.

Voglio fotterti come un animale,
voglio sentirti dall’interno.
Voglio fotterti come un animale,
la mia intera esistenza è danneggiata.
Tu mi avvicini a dio.

Attraverso ogni foresta, sopra gli alberi,
nel mio stomaco, sbucciandomi le ginocchia,
bevo il miele dentro il tuo alveare.
Sei la ragione per cui resto vivo.”




Ricorrenze.

Un visionario con un cappio intorno al collo.

Neve che diventa funambola per amore dell’equilibrio.

Il sole che arde negli occhi e rende ciechi.

Troppe stelle rimaste senza nome.

Una volpe, che impara quant’è terribile essere addomesticati.



- I think you own me a great big apology -

giovedì 3 gennaio 2013

Your confusion created my universe

Remedy Lane è il sentiero del rimedio, la via da percorrere per accettare il proprio passato, trovare un antidoto per tutto quel che non ha soluzione.
Il mio rimedio è la scrittura, il mio antidoto la fotografia.

Un anno fa ho iniziato il viaggio (link), determinata a non fermarmi, a conquistare pian piano pezzi di terreno che avevo perduto, smarriti tra i ricordi e annegati nella nostalgia. Ho capito come collezionarli per farli miei, affrontarli, dare loro nuovi nomi e significati.

Quando ci si allontana da un passato che ormai non c’è più si tende spesso a cercare soltanto la novità, si evitano gli stessi posti, ci si sforza di creare qualcosa che prima mai era esistito.
Quante volte mi hai detto di volermi portare in tutti i posti che non ho visto mai?
Ma io ho smesso di scappare, io ho bisogno di far pace col passato, di ordinare pian piano tutto quello che ho gettato dentro alla rinfusa nel momento in cui la mia vita è cambiata repentinamente.

Remedy Lane è la mia cura. Cammino sui miei passi e affido alle immagini il potere di dare ai ricordi una luce nuova. Ci sono ancora così tanti luoghi che ho bisogno di rivedere per raccogliere i pezzetti di me che ho sparso. Continuo a camminare su cocci che si trasformano in farfalle.



I ricordi sono confusi, così come lo ero io quando camminavo per queste strade senza che tu avessi ancora il coraggio di tenermi la mano. Vedo immagini sfuocate nella mia memoria, sento pervadermi un senso di smarrimento e l’angoscia che mi assale mi costringe a focalizzarmi su pochi particolari per non perdere il controllo.
La pioggia è stata irruenta e ci ha quasi impedito di proseguire la passeggiata, facendomi sentire come un animale in gabbia che presagisce la vicinanza di qualcosa che lo rende terribilmente irrequieto.
Ma ora le nuvole se ne vanno rapide com’erano venute, e quando ci avviciniamo a quelle vie che nella mia memoria stanno già perdendo forma e colore, la luce riprende a brillare nel cielo illuminando i ciottoli bagnati.

Nelle pozzanghere specchianti mi vedo funambola: sospesa tra terra e cielo. Funambola come lo ero stata.

In un attimo capisco che anche questo è un pezzo di sentiero, che questa luce mista alle lacrime sul terreno può cancellare per sempre i ricordi precedenti, sostituendone di nuovi.

Calpestare il passato è un conto, seppellirlo è un altro, evitarlo è una cosa ancora differente.
Io cerco di riscoprirlo e reinventarlo. Con te, con le persone che amo.
In un gioco di specchi tra terra e cielo faccio pace con me stessa.



Project Pitchfork - Timekiller

Restano solo poche immagini che non posso cancellare. Ma sono come diapositive imprigionate in un prisma di cristallo.
Ho cercato di tenerle lì senza pensarci troppo, per non dimenticare che forma hanno le cose quando la vita scivola via dalle mani, come sabbie mobili.

venerdì 28 dicembre 2012

Closer to hell


Nine Inch Nails - Wish

"Wish there was something real
Wish there was something true
Wish there was something real
in that world full of you."


Odio trovare cose che non vorrei vedere.

Odio anche solo il pensiero di pensare a qualcosa che dovrei odiare.

Quanto a lungo resta l’odore di un fallimento?


...

Non mettere i Nails...mi fanno incazzare.

...

Ci dev’essere un luogo, da qualche parte, in cui loro due avranno stelle in abbondanza, e aspetteranno l’alba insieme, l’uno tra le braccia dell’altra.
Ci dev’essere un cielo in cui una stella nomade scompare e riappare senza lasciar traccia, segnando i destini di coloro che a lei troppo si avvicinano.
E ci dev’essere anche un posto, da qualche parte nell’universo, in cui saremmo potuti stare insieme al principio di una nuova alba, abbracciati a pescare stelle senza più timore.

Invece questa è la realtà, e siamo solo pezzi di carne e sangue che inseguono i deliri di una volontà che non sa smettere di desiderare.
Probabilmente ci sarebbe stato un posto, in questo mondo, in cui non avremmo fatto altro che distruggerci a vicenda.

A volte vorrei potermi aprire il cervello per frugarvi dentro fino a trovare i germi malsani che mi hanno resa tanto cieca, vorrei sezionare ogni emozione fasulla, ogni paranoia, ogni mania ingigantita dall’angoscia di una vita che scivola via senza controllo.
Vorrei avere delle risposte, pur sapendo che l’unica risposta possibile è la vita che sto vivendo.

Non fa più male al cuore, è solo un gioco della mente, una ripicca del mio orgoglio.
La peggior maledizione è non saper dimenticare.



Dammi la bevanda del fluido che disintegra
e prestami il dolce balsamo,
la benedizione della dimenticanza.

Sonno d’oblio, districa le stelle
brucia i ricordi, annienta il dolore.

Rapiscimi, scombussolami e uccidimi di nuovo
perché brucio e tremo
muoio ad ogni movimento.
Anelo solo alla perfezione del tuo silenzio.

Purificami attraverso un flusso di buio.
Annegami, oblio.

Concedimi una vita che posso vivere.
 

giovedì 22 novembre 2012

Hai le borse sotto gli occhi



Sole d’autunno che fa quasi un po’ primavera. Sensazioni di colori accesi che si apprestano a scomparire e di un freddo pungente che accende stelle nel cielo. Non mi fa più lo stesso effetto questo periodo, forse sono solo un po’ meno viva di prima, e mi dipingo le unghie di bianco per pensare alla neve.

Mi guardo e non mi vedo mai com’ero. Cambiano le espressioni, le rughe del viso, la leggerezza dei miei passi. Sono nervosa, sono terrorizzata a volte.
Non ho più fiducia in me stessa e mi manca quella sicurezza un po’ imprudente di chi non teme nulla perché in fondo nulla gli importa davvero, perché tanto c’è ancora un sacco di strada davanti, perché se oggi non va bene domani andrà meglio. E con certe premesse, chi se ne frega dei piccoli fallimenti?

Non mi sopporto più quando ripeto per l’ennesima volta che dev’essere colpa della vecchiaia. Quel che è certo è che mi manca l’energia che spaccava tutto, la voglia di mettermi sempre in gioco, il menefreghismo, l’ottimismo riguardo me stessa, la presunzione di potermela sempre cavare.
Inizio a capire cosa vuol dire avere più ricordi che desideri, a comprendere perché ogni cosa a cui ci si lega diventa simile a un macigno rassicurante dal quale non ci si vuole più staccare.

Più sono le cose a cui tengo e più è difficile mantenere la leggerezza, la sconsideratezza della funambola.
Ogni passo falso non è più solo mio, troppe sono le carte disposte in tavola. Ho quasi dimenticato che forma ha la figura dell’appeso.

Nonostante questo riesco a bere un po’ di sole, a farmi forza con le piccole cose che voglio conquistare. Non dormo per notti intere, nervosa per la prova che mi aspetta, poi mi ritrovo a piegare pigiami e mutande per clienti facoltose e mi domando come ho potuto agitarmi tanto.
Cerco di ricordare a me stessa che una volta mi credevo intelligente. Una volta ero piena di ambizioni.

Si sgretola lentamente quella parte di me che non si poneva limiti e prendeva a calci le paure.
Un tempo temevo me stessa molto più del mondo, ora che invece ho fatto pace con la mia ombra non sono più la persona che avrei voluto essere.

Leggo i racconti di Mann uno dopo l’altro bevendo l’inchiostro come fosse acqua di fonte, e respiro dalle pagine consunte quell’indolente incapacità di vivere che non lascia scampo a nessuno dei suoi personaggi.
Giro le pagine una dopo l’altra e ancora spero che ci sia un lieto fine, soltanto uno. Eppure so benissimo che ognuno di quei personaggi sperimenterà null’altro che frustrazione, delusione, incapacità di esistere degnamente.
E dire che avevo evitato di ributtarmi su Pessoa proprio per scongiurare di finire nel gorgo dell’inquietudine.
Ma c’è qualcosa di bello in quelle pedine mosse da un destino più grande. Qualcosa di bello come un fiore sepolto: hai il sentore che ci sia, ma non ne avrai mai la prova.
Forse dovrei cambiare letture, almeno finché il mio umore non migliora.

“Prendi la pappa reale” – mi ripete mia madre, e sorrido per come a lei le cose appaiono tanto semplici. Ho voglia di neve, e di sole e di stelle. Voglia di smetterla di pensare a questo lavoro che forse avrò, a questo scorrere delle giornate verso qualcosa di utile ma così insensato.
Voglia di trovare le isole fortunate di Pessoa, da qualche parte a sud di tutte le cose. Voglia di mare nel cassetto e di mille bolle blu.

“Sai che d’inverno si vive bene come di primavera?”. Di tanto in tanto quel tonfo che sento nel cuore somiglia proprio all’irruenza con cui Battiato attacca “Alexander platz”.
E ti ricordi che faceva caldo ed era una splendida sera d’estate quando per la prima volta ho sentito questa canzone così piena di inverno?

Vorrei prendere Kim e camminare per ore senza pensare a niente, e poi risponderti al telefono e scoprirmi a sorridere ogni volta che risento la tua voce, mille e ancora mille volte al giorno. Sorrido dentro e non ne posso fare a meno. E non ne posso fare a meno perché ti amo.

“Tarvitsen sinua”. Apro la cronologia di una vecchia conversazione e trovo queste due parole in mezzo a tante altre chiacchiere inutili. “Dovresti imparare a leggere tra le righe” - ti ho scritto poco più sotto, dopodiché il caos.
Chissà se hai mai capito che ti volevo solo dire di notare quelle due parole, abbandonate lì tra altri miliardi di pixel senza senso. No, non le hai mai viste, il tuo ego era troppo grande per permetterti di vedere.

E in cuor mio sento per un istante quella consolazione profonda di chi a distanza di tempo può dirsi fortunato dopo una grande sofferenza.



“E’ il momento di sentire la paura per mantenere l’attenzione.
Ed è il momento di dormire per attingere alla conoscenza.
Queste sono le radici che affondano nel nulla.
Questi i venti sibilanti che non portano in alcun luogo.
E’ il momento dell’alba di un giorno che non arriverà mai.
Posso offrirti un rifugio per sfuggire al dolore.
Puoi provare a resistere, ma sarai deriso dalla sconfitta.
Come puoi ritardare ancora l’inevitabile?
La coppa è vuota, non può più essere riempita.
Ma tutta la sete ora può placarsi.
Questo è l’antidoto.”

martedì 2 ottobre 2012

Tutto fa un po' male



Settembre è già alle spalle e io non ho ancora visto la nebbia. Mi alzo presto la mattina e mi affaccio alla finestra solo per chiudere gli occhi e immaginarmi casa mia.

L’orizzonte è lontano e la nebbia sale dai campi rendendo la visuale sfuocata. È un mondo che non c’è, un limbo che non ha nome, una terra di nessuno sospesa tra sogno e realtà.
È una coltre leggera di fumo che rende meno buia la notte ma non ti lascia vedere dove stai andando.

Mi manca, a volte, la strada che sembra non aver termine; mi manca il silenzio della notte, la sensazione di essere irrimediabilmente distante da tutto.
Sono tornata a casa di rado ultimamente. Sento la mancanza di Kim, dei miei genitori. Ma purtroppo manca anche il tempo, e con quello non si può certo scendere a compromessi.
E mi sento smarrita senza la nebbia in autunno. Sarà assurdo, ma qui non arriva.



Ieri sono stata a casa. Ogni tanto, quando torno, mi impongo di sistemare qualcosa che ho lasciato in sospeso. Perché ormai è passato un sacco di tempo e sembra tutto normale, ma quando ho deciso di andar via l’ho fatto all’improvviso. Non se lo aspettava nessuno, e non c’è stato nemmeno il tempo di mettere un punto alla fine di ogni frase.

Non accendevo il pc fisso da…da? Non lo so da quanto, il fatto è che è rimasto tutto com’era prima che me ne andassi. Il tempo si è fermato ad un giorno imprecisato di un anno e mezzo fa, e sul desktop è pieno di documenti temporanei che non ho più cancellato, di files lasciati in sospeso, di icone di programmi che non ho usato più.

Sembrerà una stupidaggine, ma mi ha lasciato un senso stranissimo addosso. Smanettare qualche minuto su quel computer è stato come rivedere me stessa prima che tutto cambiasse.
La mia vita era quasi tutta lì, per il resto c’era solo un enorme baratro. Quel baratro che ho dovuto saltare a piedi uniti per poterne uscire davvero.

Non sono sicura di aver ancora trovato il modo di fare la pace con me stessa, così come non so ancora se sono in grado di giudicarmi per quella che ero, di affermare con certezza che era tutto sbagliato.
La distanza che adesso mi separa da quel periodo della mia vita è netta, ad osservarmi con il senno di poi non ritrovo oggi quasi nulla di quel che ero. Ma quanti anni ho passato così? Quanto è stata strana la mia vita? Quanto mi ha dato come persona quel contesto? E le persone che lì ho conosciuto? Alcune di queste sono ancora tra le persone più importanti della mia vita.
Eppure continuo a sentirmi addosso quel sentore di terribilmente sbagliato e non riesco a capire in quanta parte riguardi soltanto me.

È un discorso difficile, mi rendo conto di non essere ancora in grado di avere una visione d’insieme, distaccata abbastanza da poter analizzare la situazione con obiettività.
Lascio tutto in un cassetto e mi riservo di riaprirlo ogni tanto, solo per cercarvi delle risposte che non trovo mai.

Fisso lo schermo e mi sembra un vortice pronto ad inghiottirmi di nuovo. Mi vien voglia di ritrovare me stessa, di potermi osservare adesso per com’ero prima, di capire se nonostante tutto ero felice…se ero...migliore?
Rileggo me stessa ed è tutto ancora più strano. Non so più distinguere il bene dal male, mentre cresce in me il dubbio atroce che non fosse poi tutto sbagliato. Uno o due passi falsi…che se li avessi potuti evitare sarebbe stato tutto diverso.

Ma lo so che non è così, so che tutto è stato necessario, so che prima o poi sarei dovuta uscirne e va bene che sia andata così.
Anche se sono stata estrema fino al limite del possibile, anche se ho distrutto tutto in pochi attimi e senza pietà per nessuno, me per prima.


“Lo capiremo prima o poi, che non c’è modo di rinascere senza peccare.
Ma tu hai voglia di rinascere, o è solo che non sai come finire?”



A volte cerco di ripensarci, di ripercorrere le tappe, di analizzare la situazione per intero. Ma è tutto inutile, lo è sempre stato.
Avrei voglia di tornare là, di osservarmi dall’esterno, di trovare una ragione. Avrei voglia di trovare le risposte che non avrò mai.
E la cosa più stupida è che so benissimo che nemmeno mi importa più, che non cambierebbe nulla per il mio presente.
Credo sia colpa di quella voglia latente di trovare un perdono. Di assolvermi dai miei peccati.
Ma ogni volta va a finire sempre nello stesso modo: le domande restano, e di giustificazioni ne posso trovare a centinaia, ma il perdono, quello non arriva mai.
Cosa farei se potessi chiederti “perché”? Cosa farei se mi accorgessi che qualsiasi risposta è inutile?


Così mi sembra tutto senza senso: quel cd con l’iniziale che ogni volta vorrei buttar via, i quadri nelle stanze abbandonate, i versi delle canzoni che fanno ancora piangere.
E sembrano venire da un’altra epoca gli occhi scuri di Kim che mi fissano con dolcezza, il silenzio dei campi, il rumore dell’erba sotto i passi svelti, l’altalena che oscilla senza nessuno seduto sopra.

Non riesco a tracciare un confine tra presente e passato, anche se so vedere esattamente tutte le differenze tra i due. Così, tutto quel che non posso più portare con me lo lascio in un limbo indefinito, che scompare come i campi al mattino coperti di nebbia.

E fa sempre un certo effetto mettermi in macchina con il buio sapendo di avere un sacco di strada davanti a me, con la pioggia che accorcia la visuale, la radio che parte al massimo volume, e quella solitudine perfetta che una volta tanto amavo.

Ripenso a quando solo così riuscivo a piangere, a liberare il cuore, ad urlare. Adesso invece lascio cantare Trent, come facevo quando avevo perso anche la speranza e la voglia di gridare.
E lui urla a squarciagola tutto quello che ho vissuto, tutto quello che ho provato sulla mia pelle, tutto quello che forse avrei preferito non sapere.

La musica è un caos informe che riesce a dare forma ai disastri dell’anima, e mentre lui grida che ormai “ci siamo dentro insieme”, che “nessuno ci può fermare”, io ripenso a quando ho visto la tua mano spingermi verso il burrone, a quando il frastuono svanisce lentamente e in un sussurro tutto il mondo cade a pezzi.
“Without you everything falls apart…. Without you, it’s not as much fun to pick up the pieces.”

Ma io i pezzi li ho raccolti, ho camminato sopra i cocci che si sgretolano producendo quel rumore assordante che scandisce il ritmo di “The fragile”. Ero là anch’io, prima di qualsiasi altra cosa, io ero come te. Io ero come me. Io non mi sarei mai lasciata distruggere.



Dev’essere la pioggia che mi rende incline alla malinconia. O forse quest’avvicinarmi ad una fine che mi costringe a ripensare tante cose.
All’avvicinarsi di ogni termine di una fase della propria vita i conti devono esser fatti, e le fratture ancora aperte sono sempre le stesse. Semplicemente, non fanno più male.

Ma non è vero che il tempo sistema le cose, il tempo sa solo cancellare le tracce di coloro che non passano più sulla mia strada. E cosa farei se il tempo si annullasse in un istante riportandomi davanti tutto quel che ho cercato di dimenticare?
Del tempo non ci si può fidare: è un così abile traditore travestito da sapiente.



Cosa farei se dovessi ritrovarmi di fronte la vita che avevo un tempo? Cosa farò?
Non basteranno un abito meraviglioso o dei tacchi troppo alti a farmi sentire diversa da com’ero, nella stessa situazione, qualche anno fa.
Non sarà niente l’angoscia, la paura di affrontare una commissione, di sbagliare qualcosa. Non me ne frega più nulla da troppo tempo. Ho finito solo perché avevo un debito, non l’ho fatto per me stessa.
Ho odiato ogni notte insonne, ogni attacco di panico, ogni passo fatto dentro quei luoghi che ormai per me non erano altro che lapidi in rovina di un passato perduto.

Ma non sapevo che la prova più dura sarebbe stata un’altra.
Sì, io ho paura. Temo il tuo fantasma, temo la mia ombra.


“..beh, forse fa un po’ male
forse fa un po’ male
ma tutto fa un po’ male
tutto fa
tutto fa un po’ male…”


(Afterhours – Tutto fa un po’ male)

martedì 10 aprile 2012

Io non tremo

Svuoto cassetti della memoria e non trovo il fondo. Non ci sono più fogli bianchi inondati di inchiostro né fruscio di pagine che fagocitano ricordi, perché da qualche parte bisogna metterli (purché non rimangano ammassati sul cuore.)

Il prato è fiorito e la luce assale le foglie sotto forma di strali dorati. Ogni volta che osservo una pianta mi chiedo sempre quanto in profondità dovrei scendere per trovare il punto in cui è vulnerabile.
Ed io? Metto più radici o più foglie? Cosa rimane nei cunicoli sotto la terra che ho calpestato?


“Without you everything falls apart”
E’ notte e ho troppo sonno per guidare. Ma non sono mai abbastanza stanca per smettere di piangere e di scriverti qualche stupido messaggio.
Lo penso davvero. Ogni cosa che scrivo e che dico. Sono convinta che nulla abbia più senso.

Sono intrappolata in un circolo ossessivo in cui la linea vibrante al lato della strada assorbe la mia mente e disorienta quel poco di buon senso che mi resta. Lynch saprebbe perfettamente come rendere l’idea. A dire il vero già lo ha fatto, ma io non mi sveglierò in nessun altro luogo con gente bizzarra al limite del grottesco. Io rimango lì a seppellire i rami per scambiarli con le radici.

Ma se non fosse un altro luogo? Sarebbe un altro tempo.



***

Il rumore del traffico è assordante e la città mi sconvolge, mi annienta, mi fa sentire sperduta più di quanto io non lo sia già, in tutti i sensi.
Tu arrossisci e non riesci a sostenere il mio sguardo. La macchina puzza di fumo, e non era così che ti avevo immaginato. Hai le mani strane, la faccia storta, un sorriso imbarazzato. Tiro un lembo della gonna per coprire le mie gambe troppo lunghe e maledico me stessa per essere qui.
Il fumo si mischia allo smog e mi sento respirare a fatica, ma so che il senso di oppressione non deriva da questo.

Però il sole è alto e la bellezza mi circonda ad ogni angolo. Per un attimo rivedo “quella” luce a Villa Borghese e non so più né chi sono né dove sono.
E’ un circo, o forse un enorme teatro, che mi gira intorno all’impazzata e mi fa sbattere addosso alle cose costringendomi a prendere coscienza di me. Del perché sono qui.
D’improvviso ho paura e voglio solo fuggire. Poi mi convinco che le cazzate volute hanno sempre un prezzo da pagare, così mi faccio docile e obbedisco a me stessa. L’altra me stessa, quella che ha sempre una soluzione per tutto.
Prendo quello che c’è come un’avventura e mi illudo di poterne uscire incolume. Già penso al momento in cui sarò felice che tutto sarà finito.

Ma sbatto la fronte contro i vetri della finestra di una chiesa, e dico un sacco di cose inutili sull’arte e l’architettura abusiva. C’è un cane che cerca di mordermi ad ogni passo e oggetti preziosi in ogni dove.
Sono fuori luogo eppure mi tolgo le scarpe e faccio finta che sia tutto normale. Non allungo più nemmeno la gonna e comincio a parlare di stelle.
Mi ricordo la luna che compare dove prima c’era solo buio. Pensavo di poterti portare la luce, invece sei tu che mi hai spalancato le tenebre.

Tu non arrossisci più, io invece parlo troppo. Faccio di corsa le scale solo per sentire ancora il gusto di quella birra meravigliosa che frigge nella testa. Sto cercando di evadere, nel modo più pericoloso possibile.
Voglio che tu metta quella canzone, lo desidero così tanto che la musica non smette più.
Trent sta urlando da almeno mezzora gli stessi identici versi, e la musica è così violenta da pulsarmi nel cervello. Ho voglia di urlare anch’io adesso, di gridarti You can have my isolation, you can have the hate that it brings. You can have my absence of faith…You can have my everything.
Non sono sicura di comprendere a pieno quel che desidero, né tanto meno quel che sta accadendo. Ma tant’è che tu hai già preso tutto, e forse non ti basta nemmeno.

Non c’è niente di mio qui. Il pavimento mi è estraneo, le pareti sono fredde, non so dare un’utilità alle cose, neanche a me stessa. Mi siedo per terra sul gradino che dà sulla cucina e ti guardo mentre prepari la cena. Non ho voglia di dirti niente di importante e mi concentro sull’odore del curry che mi stringe lo stomaco. Può anche essere che non sia solo quello a darmi i crampi violenti che sento.
Ho un caos dentro e sono sul punto di esplodere. Tu lo sai benissimo, e in questa bufera la fai da padrone. Hai deciso di sconvolgermi fino all’ultimo brandello di sanità che mi resta.

Tu ottieni sempre quello che vuoi, giusto? Me l’hai detto la prima volta che abbiamo parlato.
E io odio i tipi arroganti e presuntuosi come te. Odio l’egoismo, l’egocentrismo spropositato.
Odio tutto di te, anche quando mi prendi timidamente la mano e mi dici che forse ti stai innamorando di me.
E dall’altra parte della siepe c’è Villa Borghese, e io lì una volta ho già perso me stessa. Lì c’è il mio specchio, coperto di fuliggine.


***

Poi un giorno scopro che citare gli After rende tutto più drammaticamente toccante, e che i titoli delle canzoni hanno già tutte le spiegazioni di cui uno possa aver bisogno.
E mi accorgo che le notti non sono più abbastanza gelide, e che le bugie hanno un potere devastante.
D’improvviso sono io a scriverti la stessa cosa che mi avevi scritto tu.
“Ti prego. Non farmi questo.”
Ma tu non rispondi più.

Oggi però lo so, che toccare un fondo così buio mi ha permesso di rinascere come mai avrei nemmeno sognato.

Oggi sono grata all’egoismo. Oggi tutto ha un senso. Oggi sento il bisogno di lasciare traccia dei ricordi perché sei diventato così insignificante che presto ti perderò.
Ma io amo ricordare.



“That fiction and reality melt together for eternity.
Filling the emptiness with sense.”


***


- Ti ricordi ancora di Roma, cara Lou? Com’è nella tua memoria?

Nella mia rimarranno un giorno solo le sue acque, queste limpide, stupende, mobili acque che vivono nelle sue piazze;

e le sue scale, che sembrano modellate su acque cadenti, tanto stranamente un gradino scivola dall’altro come onda da onda;

la festosità dei suoi giardini e la magnificenza delle grandi terrazze;

e le sue notti, così lunghe, silenziose e colme di stelle. -


(R. M. Rilke) 

sabato 11 febbraio 2012

Enter rain...

...exit pain.





Il vento mi rende irrequieta, è così da sempre. Non riesco a dominare la mia mente per imporle di smetterla di ascoltare. Il suo sibilo lontano, chiuso al di là dei balconi sprangati, riesce comunque ad entrare, a diventare bufera nella mia testa.

Ricordo di aver visto un film da piccola: Cime Tempestose. Qualche anno dopo ho letto il romanzo senza ottenere alcun appagamento. Ma il film lo ricordo ancora, ricordo di aver pensato che il vento ha il potere di far impazzire le persone. Non l’amore, la rabbia, la società, le psicosi represse. Il vento.

La mia lupa ha uno sguardo indecifrabile quando mi fissa con il suo lungo pelo scarmigliato, ferma in mezzo al giardino. E gli alberi si piegano, e ondeggiano, e danzano, in un ritmo sfrenato che non ha nulla del fascino della brezza estiva, quella che accarezza i fili d’erba piegandoli dolcemente. E’ una frenesia senza sollievo, è uno spasmo della natura che deforma e sconvolge.

Ricordo le sagome scure degli alberi al chiaro di luna, la notte, piegarsi fino a sbattere contro la mia finestra. E l’ululato continuo, logorante, come un lamento del tempo che attraversa le epoche.
Ricordo le notti insonni, e la sua voce nella testa.

Eppure lo amo, il vento.
Lo adoro d’estate, quando arrivando impetuoso spazza via tutto il marcio accumulato nell’aria afosa e stantia, ed è caldo e secco, e si insinua sotto i vestiti ferendo la pelle di striscio, scompigliando i capelli, togliendo il respiro.
Lo amo d’inverno, quando il suo tocco gelido si fa superbo, impietoso, violento. Quando la sua presenza è imprescindibile e ti viene addosso senza possibilità di scampo.
Quando gela fin sotto la pelle e consuma il viso, portando via con sé ogni maschera, ogni pianto, ogni volto scomodo.

Amo il vento perché è senza dimora, senza legami, senza doveri. Attraversa centinaia di luoghi scontrandosi con qualsiasi cosa si ponga sul suo cammino, e ovunque lascia un po’ di sé, senza mai fermarsi, senza rimpianti, senza ricordi.

***

C’era un vento forte anche un anno fa, quella mattina alla stazione, mentre cercavo di riaggiustare la catenina delle stelle.
Ma qualcos’altro stava per rompersi, e forse lui lo sapeva. Forse avrei dovuto ascoltare le sue grida, soffocate dal rumore assordante della città.

Credo di avere una fissazione inconsapevole per le ricorrenze.
 

You came like a wind I couldn't defend.
You cut my heart so deeply, the scars won't mend.



- You need a timekiller and you don’t understand

I am like quicksand lick it from my hand.

I am your timekiller I let your mind expand

I am like quicksand lick it from my hand. -



"RUNNING"

In solo un anno un’altra tempesta arriverà
a lavare via un po’ di sangue in più.

E’ mancanza d’odio, di idee politiche o dottrine.
Ci ha lasciato ciechi, aperti, la nostra pistola legata alle mani.
Perché questo vecchio mondo ha visto il peggio di noi,
il suo amore si è fatto più sottile giorno dopo giorno.
Ed ogni grammo di devastazione, che noi abbiamo causato,
ha preso il meglio di noi, ed il resto è per noi.

Lascia che piova.
Entri la pioggia.
Esca il dolore.


Sette anni fa vedo un uomo,
un istante allungato negli anni.
I suoi occhi sbattono e poi qualcosa cambia.
Una gabbia vuota, un germoglio cremisi, nato nel fango.

Lascia che piova.

In soli dieci minuti vedrò un bambino,
che compra il latte vestito di stracci
e senza pensarci coprirà la sua mano nuda
dal freddo, oh, e questo mi da speranza.

Lascia che piova.
Entri la pioggia.
Esca il dolore.


"STANDING"

E la pioggia ci laverà fino alle ossa,
togliendo centinaia di tracce.
Pulendo tutte le ferite della pelle,

del nostro tempo, di ogni crimine,
di ogni grammo di polvere e sporcizia.

In due secondi cadrò a terra,
un istante allungato negli anni
E i miei occhi sbatteranno e poi qualcosa cambierà.

Una gabbia vuota, un germoglio cremisi, una strada insanguinata.
Una rosa di città sbocciata per salutare la pioggia.

Non saprai mai il mio nome,
ma io ti amerò lo stesso.
Non ricorderai mai il mio nome,
ma io ti amerò lo stesso.
Lo stesso.

"FALLING"

Entri la pioggia..
Una rosa di città.
Una strada di sangue.

In due secondi cadrò a terra.

giovedì 5 gennaio 2012

Written in the stars (Together we will live forever)



Girovagando alla ricerca di opinioni sul film, mi sono imbattuta in una recensione della colonna sonora che mi ha fatto parecchio sorridere. Trovandomi piuttosto d’accordo con l’autore, non posso non riportarla:

-.-.-.-

Non amo le colonne sonore. Le vedo come musica “derivata”. Melodie prestate ad immagini. Musica che si concede (puttana!) al fratello maggiore visivo e luminoso. Come se non fosse vera musica. Insomma, non amo le colonne sonore. Sono nate in funzione di altro. Girano intorno ad uno stesso tema. Si, ok. Ci sono cose notevoli. Quando ascolti la colonna sonora e rivivi il film. Vangelis e “Blade Runner”. Vangelis e “Momenti di Gloria”. Ma ricordavo il film. Un bel Film con un bell’accompagnamento. Nessuna vita propria.
Punto.

Clint Mansell è un musicista che scrive colonne sonore. Bella sfiga. Ha iniziato con un gruppetto diciamo Rock. Si sono sciolti subito (1996). Poi lo chiama l’amico Darren Aronofsky. Si. Quello di The Wrestler. Anche se non è per quello che lo si dovrebbe ricordare. Sono Requem for a Dream e π - Il teorema del delirio i suoi capolavori. Comunque. Gusti personali.

Insomma Darren gli fà: “Clint, perchè non mi scrivi la colonna sonora del mio debutto?”. Fatto. Poi Darren (e Clint) ci prendono gusto ed eccoli ancora insieme per Requem For a Dream. E lì Clint scodella “Lux Aeterna”. Bum. Ma non di poco. BUM BUM. Alla seconda prova uno che se ne esce con una delle canzoni più usate come basi di trailer (Sunshine, Il Signore degli Anelli: Le due Torri, Il codice da Vinci, 300, Babylon A.D.,Hitman, ecc) ed una delle canzoni più epiche e maestose degli ultimi anni, beh, come minimo non è uno scarso. Direi proprio di no. (direi anche) Cazzo. Comunque è sempre una colonna sonora con un grandissimo pezzo. Ma sempre di colonna sonora di parla.
Ah, se non conoscete Lux Aeterna. Vergognatevi.

Insomma, come al solito mi dilungo. Dicevo del mio disamore verso le colonne sonore. Clint Mansell invece ci va matto. Ne fa un botto. Ma ecco che torna il suo (vecchio) amico Darren. Si riuniscono per l’ennesimo film di quest’ultimo. The Fountain. Clint decide di omaggiare il suo amico regista facendo le cose in grande. Chiama i Mogwai. Chiama i Kronos Quartet. Mica i primi due che passavano di li. Mica due qualsiasi. Mogwai e Kronos Quartet. Se non sapete chi sono, beh, bah, mah.

Ne parlano cosi cosi (del Film). Non lo vedo (pazienza). Ma Clint. Ma i Kronos Quartet. Ma i Mogwai. Insieme. Insomma. Stuzzica la cosa. Ascolto la colonna sonora. Ascolto “The Last Man” . Pianoforte (Clint). Viola, Violini, Violoncello (Kronos Quartet). Lunga e struggente. Non male, davvero non male. In “Holy Dread” e nella successiva/correlata “Three of Life” finalmente si sentono anche (schitarrare) i Mogwai. Splendido crescendo nel finale. Gran pezzo anche questo. Ma vuoi vedere che riesco a reggere tutta la colonna sonora?

Ma va là, è una colonna sonora ed io non ho neanche visto il Film. Come potrebbe piacermi? Poi c’è “Stay with Me”. Intro di violini. Poi entra il Piano. (E) mi si blocca il respiro. Una cosa pazzesca. Una cosa che lascia senza parole. Che trafigge l’anima (ne avrò una di carta pesta, che vi devo dire).
Una cosa che ti fa dire che le colonne non sono male. Ma la verità è che questa non è una colonna sonora. Si. Ok. C’è il tema ricorrente (come ogni colonna sonora). Ma c’è anche “Death Is The Road To Awe” che è una piccola “Lux Aeterna”. “Death Is The Road To Awe” con quei suoi cazzo di crescendo. Con i singoli strumenti che si sommano mano mano. Attimo dopo attimo. E quelle batteria (Mogwai) che scandisce il tempo. Magnificamente. Fino al coro finale sceso dal cielo che incorona la chiusura del pezzo. E che dire di “Together We Will Live Forever” (pezzo finale) che già dal titolo sai che non sarà cosi (che insieme vivremo in eterno) è quindi giù di fazzolettini?

Insomma, io il film non l’ho visto. Ma The Fountain è un album che ho ascoltato all’infinito. Un album, capito?
Ah!

Death Is A Disease.
Death Is The Road To Awe.
Punto.

-.-.-.-

Come non quotarlo? Anche se ammetto di non conoscere i Mogwai e i Kronos Quartet, quindi provvederò a cospargermi il capo di ceneri!

Dicevo, la recensione mi fa sorridere. Non tanto per l’ironia del tizio, quanto perché anch’io ho ascoltato decine di volte la colonna sonora, per anni, senza mai decidermi a guardare il film.

Dev’essere perché mi piaceva così tanto, e mi toccava così profondamente, che temevo che il film al confronto mi avrebbe deluso.
Una musica riesce ad essere molto più diretta di quanto possa esserlo un film, soprattutto se non è nato dalla mente di qualche genio visionario che abbia realmente capito cosa voglia dire comunicare per immagini.
Sono esigente in ambito cinematografico, e anche se mi adeguo a vedere di tutto, riesco ad apprezzare realmente solo pochissime cose.

Aronofsky mi piace, da impazzire. Così le aspettative erano raddoppiate…e The Fountain restava a vegetare, in attesa.

Non pensavo di poterlo dire un giorno, ma l’attesa è stata ripagata. Infine l’ho visto, ed è stato intenso, struggente, completo.
La ridondanza di immagini e l’eccesso di magia senza logica che permea tutto il film è assolutamente necessaria, e non per stordire lo spettatore o dimostrare un qualche talento registico, ma perché è l’unico modo di restituire la sensazione del mistero della vita.


“..la potenza delle immagini (come in Requiem For A Dream) serve a creare quella angoscia di fondo nello spettatore, che produce la condizione iniziale per poter vedere un film di Aronofsky: la completa disposizione ad assorbire il messaggio visivo. Durante la proiezione il senso d’angoscia costringe ad assimilare tutte le immagini senza elaborazioni a priori, trasformando la visione da una semplice analisi ad una esperienza emotiva. In The Fountain il senso di misticità che permea il film crea questo rapporto di dipendenza in maniera tale da permettere allo spettatore di vivere il film nella maniera corretta, cioè avvertendo dentro di se quella sorta di stupore/angoscia/paura esistenzialista che si prova nel ragionare sulla vita e sulla morte.”


Sprecare ulteriori parole sarebbe un delitto, toglierebbe al mezzo visivo la potenza che gli compete, e che si fa prorompente in mano a registi come questi, che non hanno nulla da elemosinare ad altre arti parallele.
Al contrario, immagini e musica creano un connubio spettacolare, e mi chiedo se anche il film visto senza colonna sonora riuscirebbe ad essere meraviglioso come lo è quest’ultima, di per sé.






(Clint Mansell – Together we will live forever)

“Per tutta la vita combattiamo per essere completi, per raggiungere uno stato di grazia. Pochi ci riescono, molti arrivano al momento della morte scalciando e strillando così come sono venuti al mondo.”

“Questi sono tempi bui, ma ogni ombra per quanto profonda è minacciata dalla luce del mattino.”


Mi piaceva il titolo, quando l’ho scelta. E mi piaceva il modo in cui riusciva a farmi emozionare imponendosi alla mia mente e al mio cuore senza alcun corollario, senza immagini, parole o motivazioni.
Soltanto una musica completa in sé. Bellissima.

Non sapevo nemmeno che, come nel film, quel “forever” nella realtà sarebbe stato impossibile.
E non sapevo neppure che anche nel film ci fosse una storia partorita dall’immaginazione, un amore troppo esigente, una morte già celata nelle stesse parole “together…forever..”

Non sapevo che anche l’amore della mia fantasia avrebbe trovato presto la fine, e che sarebbe stato sepolto per permettere a nuova vita di fiorire, in forma diversa, nella realtà.

E’ stato un viaggio strano, al confine tra mondi troppo diversi, in un limbo malato, sospeso tra sogno e realtà.
E’ stato un cammino privo di logica ma pieno di sensazioni intense, di pugni sullo stomaco forti come i turbini di immagini oniriche del film.
E il viaggio mi ha portato infine all’accettazione, alla rinuncia, a fare pace col tutto. Proprio come il protagonista del film.

Dal seme piantato sulla tomba dei miei sogni infranti è nato un albero nuovo, magnifico.
Le stelle sarebbero dovute morire prima o poi, ma la nuova vita che ora possiedo ripaga ogni perdita.

Nonostante tutto, mi piace figurare nella mia mente un cambio di scena repentino, l’obiettivo che torna a osservare una dimensione temporale diversa, surreale, e un fermo immagine su due figure abbracciate nella neve, sotto le stelle. Loro sì…loro possono vivere per sempre.




***

Rivedo i boschi del nord, gli alberi maestosi tesi verso un cielo limpido, mio padre che taglia la legna e i primi fiocchi di neve che scendono come una lieve poesia a baciare la terra scura.
Mi sembra di poter sentire ancora il canto lontano degli uccelli che iniziano a migrare, e la melodia dolce dello scorrere del fiume Neverwinter.
Chiudo gli occhi per fermarne l’immagine così nitida e mi concentro sugli odori: la terra bagnata, il legno che brucia nel camino, e il profumo intenso delle tisane che preparava Sheela per mio padre la sera quando rincasava dal lavoro.
Una sensazione di pace e una sinfonia solitaria di bellezza perduta.

Riapro gli occhi, ed ombre lunghe e silenziose si estendono ad avvolgere in una morsa di rimpianto quei ricordi così puri e candidi come la neve.
D’improvviso l’acqua riversa il suo abbraccio attorno alla roccia, e la decadenza gocciola dall’inquieto vuoto dove il ghiaccio si forma, dove la vita finisce. La roccia viene inghiottita dal flusso cremisi, e la marea rossa scorre al di là dell’eburnea ferita, in una danza contorta.
Il mio sacrificio si perde in questo fiume di ricordi: un’onda violenta e impetuosa per porre fine al tempo.
Uccelli rossi fuggono dalle mie ferite e ritornano come neve cadente per spazzare il paesaggio, un vento tormentato solca le terre deserte, e l’amara nevicata diviene solo un’ode infinita al silenzio.


Nel blu del cielo di mezzanotte un’ombra mi insegue e mi inebria, riemergendo dal buio di un vuoto perpetrato senza colpa, tornando ad invadermi l’anima e il cuore con la violenza di un uragano al quale non voglio sottrarmi.
Il nostro paradiso è a portata di mano, quello in cui mi trascina senza chiedermelo, bruciando le mie ali di carta fino al punto di non ritorno, fino a divorarmi il cuore solo per poi ricominciare ancora e ancora in una corsa senza fine.


E ora che so che mi ha mentito, che dietro quel silenzio c’erano scheletri di un passato mai dimenticato, come posso fidarmi ancora con la leggerezza e il candore di una stupida ragazzina illusa?
Come posso ingoiare questo senso di infinita tristezza per le promesse tradite?
Come faccio a conciliare le stelle con questi macigni che mi ritrovo tra le mani, se non ho più nemmeno l’innocenza della sognatrice che ero?

Il suo chiaro sorriso incantato, che abita i miei pensieri anche in questo istante, riemergendo dai sogni che mi parlano di lui, mi riporta adesso al giorno in cui ho imparato che nulla è per sempre, e che la buona volontà mascherata di sorrisi è solo un altro imbroglio dei suoi.
Posso lasciar passare tempo e tempo ancora, ma ho la sensazione di aver perso qualcosa, e non riesco a comprendere il significato delle mie convinzioni interiori, alterate da tutto quello che mi è passato addosso.
Dovrei saperlo che il tempo consuma la gioia quotidiana, che non resiste fino al giorno dopo. E allora cosa mi resta?
Verso il cielo cerco la mia dimensione, e pietra dopo pietra continuerò a costruire il mio rifugio, perché tutta la mia devozione possa trovare un luogo sicuro nel quale cadere ogni volta che il cielo mi lascerà precipitare.

E’ semplicemente troppo arduo soffiar via tutti questi frammenti di stella. Vorrei poter volare via, lontano, in un luogo d’incanto dove ancora poterti sentire completamente mio. Vorrei credere ancora alla luce nei tuoi occhi, alla scintilla di sogni senza fine, ma il desiderio che mi striscia dentro mi fa recedere e nascondere, per cercare rifugio in una forza interiore che non mi farà smarrire.
Cercavo una ragione e la mia strada nella luce, ma ho perso la via delle favole, e migliaia di ricordi dimenticati rimangono scolpiti sulla pietra: simboli della mia fanciullezza perduta.
Nel vento adesso fluttua un sogno, e centinaia delle mie promesse e giuramenti spezzati, portati via dalla corrente, artefatti di quel che un tempo ero.

Leggo i segni nelle stelle, interpreto scritte lasciate da scie argentate, e il vento notturno ulula la sua litania, cantando alla notte la favola dei buoni propositi traditi.
Potrebbe essere la più spietata o la più dolce di tutte le notti, invece è solo un momento che si prolunga nel chiarore del suo pallido sorriso.
Mentre i fiocchi silenziosamente cadono, resta solo un ricordo lontano di cose non fatte, un ritorno all’Innocenza, un viaggio indietro nel Tempo, quando ogni cosa sembrava chiara e pura.



(Memorie di Liv Moonshadow, oracolo di Selune) 

***

- Sono immersa nella luce del mattino. -