~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

Original Blog -> Nepenthe


- EviLfloWeR -

* photos on flickr *
Lunacy 2 - Lunacy 3 - Lunacy 4
Lunacy 5 - Lunacy 6 - Lunacy 7 - Lunacy 8
Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

giovedì 15 ottobre 2020

Solitari Paradossi

 



“Inconsolabile”

 

Ecco, l’aveva trovata. Era esattamente la parola che cercava. Siccome sfogliare i libri alla rinfusa era stato totalmente inutile, decise di scriverlo su un pezzo di carta per vedere che aspetto avesse quella parola che aveva tanto inseguito. “Ha un’aria un po’ trasandata” - si disse, ma non era la situazione adatta per farci troppo caso.

 

<<Inconsolabile>>

 

Il secondo passo era pronunciarla. Lasciarla scivolare sulla punta della lingua, osservarla prendere corpo a contatto con l’ossigeno sottratto all’universo. Quella “s” sibilante un po’ la disturbava, ma una volta ancora decise che non fosse il caso di indugiare troppo sui dettagli.
In fin dei conti quella parola aveva avuto la decenza di presentarsi lì, alla soglia dei suoi pensieri, ed offrirle l’unico modo possibile per rispondere alla domanda delle domande.

 

<<Come ti senti?>>

 

Si rese conto di doverle essere grata, così si mise a ripeterla un paio di volte, per farle meglio prendere aria. Le sembrò quasi di vederla volteggiare libera, leggera. “Almeno lei” – (pensiero obbligato).

 

Il suo interlocutore in quel momento non se la stava passando granché bene: un grillo mezzo stecchito che non aveva avuto il coraggio di ammazzare del tutto. Una grottesca citazione kafkiana dovuta in realtà a semplice inadeguatezza. Si ripromise di finirlo non appena sarebbe uscita dalla vasca bollente. Per un attimo la domanda se definirsi tremendamente spietata, o invece empaticamente magnanima, riuscì a distrarla da peggiori pensieri.
Peccato che anche in quel caso non vi fosse realmente una buona risposta.
“Che a volte ne basterebbe una qualsiasi” - direbbe Baricco, ma quando ti sembrano tutte sbagliate non ti resta altro da fare che tornare al punto di partenza: “Inconsolabile”.

 

<<Sì, ma dov’è che l’avevo sentita? >>

<<Ti era piaciuta un sacco, volevi farla tua>>

 

Prima che anche quella epifania svanisse, lasciandola a faccia a faccia con il vuoto che aveva appena creato (una di quelle detonazioni che non si dimenticano, mica un vuoto qualsiasi), decise di fare un passo ulteriore, girando attorno a quella parola così calzante.

 

 <<I tuoi temporali inconsolabili>>

<<Bella. E’ una canzone?>>

 

Le venne voglia persino di sorridere, ma non era una canzone scritta a quello scopo. Si ricordò perfettamente di quella sera in cui l’aveva cercata, e mentre la musica faceva il suo corso, lei si era messa a leggere i commenti sotto al video, come suo solito.
Stilettate al cuore, una dopo l’altra. Un’amplificazione di dolore così vasta da infiltrarsi ovunque intorno, permeando ogni mezzo possibile di comunicazione.

 

<<I commenti, non puoi capire>>

<<Toccanti?>>

<<Devastanti.>>

 

Da non riuscire quasi più a sentire la canzone. Una di quelle cose che ti ricordi per forza, anche se ti scordi la parola giusta.

Pensò che dovesse essere una cosa bellissima, “tornare dall’estero” (perché di quello parlava la canzone). Nel proprio paese, a casa, da qualcuno. Ma quanto poteva farsi invalicabile lo spazio, se l’estero diventava una scelta di non restarsi più accanto?

 

Se quel grillo fosse stato ancora vivo, e magari magico e parlante, senza dubbio sarebbe stato d’accordo con lei. In una frazione di secondo si rese conto che parlare con sé stessa, pratica già perfettamente rodata negli anni precedenti, avrebbe assunto d’ora in poi tutto un altro significato.

 

<<Dovevi rispondere - sola –>>

<<Eppure mi sento inconsolabile>>

 

Senza alcun apparente nesso le venne in mente Adele H che scrive rannicchiata su sé stessa, alla ricerca della propria identità attraverso l’inchiostro.

 

<<Adesso non citerai Rilke vero?>>

<<Dovrei, è perfetto.>>

 

Non lo fece, ma solo perché nascere provvisoriamente da qualche parte, per poi ricomporre in sé stessi il luogo della propria origine e rinascervi, le sembrava ancora troppo lontano da quel buco nero in cui nuotava.

<<L’hai fatto lo stesso>>

<<Lo so. Ma dovevo. Così come dovevo uccidere una parte di me stasera.>>

<<Ottobre? Freddo gelido, pioggia e bufera? Davvero non potevi scegliere un altro giorno?>>

 

E come si fa a scegliere un giorno, una persona, una risposta? La verità sconcertante (o inconsolabile) era una sola: non lo sapeva.
E in quell’ignoranza dal peso tremendo stava affogando con le proprie mani una miriade di cose bellissime, che non sarebbero mai più tornate.

 

Si chiese se sarebbe stata ancora credibile, nel guardare il mondo con gli occhi della meraviglia. Così poche persone si erano rese conto che quella era disperazione.
Star continuamente sprofondando, lentamente, scivolando sulla fune invece che danzarvi, e in quell’inesorabile perdersi non aver altra soluzione che strappare brandelli alla vita. Come perle colorate e iridescenti, piene di cose stupende da vederci dentro.
Cose che esistono davvero. Che vederle è semplice, coglierle chiede un po’ di sforzo in più, ma tenerle strette, mentre si scivola giù con le mani piene di biglie, è veramente un gran casino.

 

<<Sì però… Questa non doveva essere una raccolta scritta di ritratti?>>

<<Certo.>>

<<Partire con un autoritratto non è troppo da egocentrici?>>

 

In quel momento capì, con una limpidezza disarmante, che non stava affatto parlando di sé. Che non sarebbe mai più stata sé stessa in quel modo.

 

<<Non è un autoritratto, è la descrizione dello sgabello, del cavalletto, dei colori poggiati su una tavolozza di legno consumata. E’ da qui che inizia tutto.>>

 

Iniziava esattamente lì dove qualcos’altro finiva. Si disse che le erano sempre piaciute le banalità poetiche. Ma accettando quel pensiero si ritrovò per un attimo in pace, e la pace sottendeva sempre alla tempesta.

 

Sapeva perfettamente dov’era, ma non dove stava andando. Nel cuore aveva un’immagine, fatta di molte altre immagini concentrate in una soltanto. Stelle sul soffitto, il profilo di una schiena possente nella penombra, il calore della pelle, la pace del respiro di chi dorme, il pensiero di essere al sicuro.
Non sarebbero state cose facili da scordare. Di quei pensieri che ti accompagnano quando credi di essere perduto, per ricordarti che qualche volta anche ai più stronzi viene concesso di essere felici.

 

<<La fregatura è che poi non dura.>>

<<Possibile, è per questo che dovremmo fare più ritratti. Dicono che quelli servano a sfidare il tempo.>>

 

Non sapeva assolutamente da dove iniziare, ma era certa di aver appena scritto l’unico incipit possibile.





E sempre, come un amuleto,
tengo i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto.
E tu tornerai dall'estero, forse tornerai dall'estero.