~ ..la Volpe Funambola ammazzaprincipi.. ~
~ Fragile ~

"...Sometimes it feels it would be easier to fall
than to flutter in the air with these wings so weak and torn..."

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- EviLfloWeR -

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Lunacy Ph

"Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale;
che accompagna col piede la melodia
delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
"

- F. Pessoa -

~ REMEDY LANE ~

- We’re going nowhere...All the way to nowhere –



"Forse sono l’uomo con le leggendarie quattro mani
Per toccare, per curare, implorare e strangolare.
Ma io non so chi sono,
e tu ancora non sai chi sono..."

F. R.

giovedì 23 febbraio 2012

Custode di sogni


"Due serpenti che si mordono le code in un perenne girotondo: Aurin realizza i sogni. Tutti i sogni.
In un circolo in cui Gioia e Dolore iniziano e finiscono nello stesso modo, parti non divisibili della stessa essenza.
Aurin è la guida nella lotta contro il Nulla che distrugge Fantàsia. Perchè niente è più forte di un sogno. Di un desiderio. Di una speranza.
Aurin è il sogno primordiale, la goccia di vita che dopo la distruzione ricrea."

- Tutto ciò che accade, tu lo scrivi - disse.
- Tutto ciò che io scrivo, accade - fu la risposta.




Mi chiamarono Aurin yr Jasel el Redon, ventidue anni or sono, per marchiare la mia esistenza col nome dei miei avi e inchiodarmi a un destino che non ho scelto. In lingua Alzhedo “Aurin” significa custode di sogni, anche se pochi ricordano ancora le simbologie associate all’alfabeto Thorass.
Sono nata nella Perla delle Sabbie, dove il caldo arido di un deserto troppo antico rende le persone subdole e assetate di veleno, prosciugate fin nel midollo e private dei valori che fanno di un uomo qualcosa di più di un burattino in cerca di uno sfarzoso palcoscenico.
Sono una figlia di quella terra splendente baciata dal sole del sud, un fiore troppo selvatico sbocciato tra dune polverose, ma non vi è traccia sulla mia pelle di quel retaggio. Il mio sangue affonda da qualche parte nel lontano nord, e questo mi ha aiutata a non sentirmi mai davvero parte del mondo che ho tanto odiato.
La mia vera nascita non è stata la prima: quella è stata solo una maledizione.
Ho imparato a vivere il giorno in cui ho infranto il velo damascato di ipocrisia, e scavalcato prepotentemente le barriere auree della mia gabbia personale.

Mi chiamai io, questa volta, Aurin e basta: una ragazza smarrita senza una vera identità. Una figlia del vento, della terra e delle stelle, in perenne viaggio senza una meta, funambola per scelta ed equilibrista per necessità.
Seguendo Ieriyn alta e splendente nel cielo ho puntato a nord, affondando i miei piedi nel fango, ma senza mai distogliere lo sguardo dall’adunanza di stelle custode dei sogni più belli.

- Quante volte ho puntato il mio arco alle stelle lontane? Chiudi un occhio e mira trattenendo il respiro: se ne prendi una buona, forse i tuoi desideri si avvereranno. Falla cadere, falla morire, sei una cacciatrice e non hai mai afferrato nemmeno un sogno. -
Era il mese della dissolvenza, ricordo le foglie a terra e il rumore dei miei passi che lentamente imparavo a celare. Oberata di un peso troppo grande per le mie spalle esili, ho dovuto lasciare svariate cose per strada: tutto ciò che mi è sempre servito, del resto, me l’ha fornito la natura.

- Ricamo delle stelle, spoglia i miei sentimenti per questa terra, mandami il tuo unguento per lenire le mie cicatrici, e lascia che questa nudità sia la mia nascita.
Voglio cacciare con cuore indomito. Voglio imparare la saggezza delle lontane montagne. Sia il mio cuore una fonte d’amore che scorre inesorabile come linfa sotterranea. -

Ho imparato che la morte mi alitava gelida sul collo ad ogni svolta di sentiero, e che anche la natura che m’aveva accolta nel suo grembo materno era in grado talvolta di devastarmi e sottopormi a prove sempre più ardue.
Ho dovuto affilare i miei artigli ed accettare il mio istinto primordiale: ho iniziato a cacciare, a macchiare la mia pelle del sangue nemico, ad attaccare per prima per sopravvivere, e a braccare la preda per non perdere mai il predominio del cacciatore.

Ho scoperto il Giardino Selvaggio" ed ho iniziato ad amarlo perdutamente. Vi era bellezza in ogni dove: l’oro del sole cospargeva di povere luccicante le foglie danzanti, e la rugiada si adagiava sull’erba come diamante. Le acque pure dei ruscelli erano la vita che scorre senza tregua, e i frutti della terra un tesoro di cui mai esser sazi.
Tutto mi sembrava un equilibrio perfetto oscillante tra le più buie tempeste e le più splendenti delle albe. Quel Giardino era ovunque, e io ne ero la cacciatrice. Avrei difeso la Bellezza da tutto ciò che di deviato e subdolo avrebbe osato calpestare l’amato suolo.
Avevo una fede a sostenere i miei passi, non più soltanto la disperazione di sopravvivere. E per quella fede, per quel giuramento a me stessa prima che a Lei, ho affinato i miei sensi e allenato il mio corpo: ho sviluppato doti feline per saggiare il terreno, appetito animalesco per godere dell’ebbrezza della caccia, e coltivato l’istinto del branco per non perdere mai di vista i valori che mi rendono diversa da un qualsiasi vile predatore.

Troppi sentieri ho percorso, e su molti di questi ho lasciato orme silenziose che sono svanite al primo soffio di vento. Nel labirinto di strade che mi ha condotto verso mete che potessero soddisfare la mia curiosità, sempre accesa ed acuta, ho incontrato miriadi di passanti. Alcuni mi hanno solo sfiorata, altri ignorata.
Altri invece mi hanno sbattuto contro con violenza e si sono portati via una piccola parte di me.
A volte ho anche accettato nuove gabbie, provato nuove vite come se fossero abiti che si possono indossare soltanto per un po’…soltanto finché ci si sente bene dentro.
Ma l’istinto che lacerava il mio cuore non dormiva mai, mai si placava, e costantemente cercava di lacerarmi la pelle per uscire di prepotenza a cercare la libertà.
Parola buffa la libertà. Quante volte ho pensato di averla trovata?
Tra le braccia del primo uomo che ho davvero amato, o nel vento che me l’ha portato via, in una casa fatta di mattoni e di affetto, o in un tempio colmo di fedeli e amici coi quali ho condiviso i miei servigi per Lei.

La verità è che da quella maledetta fune non sono mai scesa, e per quanto qualcuno un giorno mi abbia insegnato a danzarvi senza timore, credo di non essere mai riuscita a farlo davvero.
Arranco passo dopo passo combattuta tra l’apprensione di non fare un passo falso e il desiderio dilaniante di cadere una volta per tutte.
E mi chiedo se lui salga ancora qualche volta sopra i tetti per guardare le stesse stelle che vedo io, o se abbia sepolto il nostro inverno in fondo al suo cuore e l’abbia dimenticato.

- Non dovresti conoscere la disperazione se le stelle scintillano ogni notte; se la rugiada scende silenziosa a sera e il sole indora il mattino.
Non dovresti conoscere la disperazione, seppure le lacrime scorrano a fiumi: non sono gli anni più amati per sempre presso il tuo cuore?
Piangono, tu piangi, così deve essere; il vento sospira dei tuoi sospiri, e dall’inverno cadono lacrime di neve là dove giacciono le foglie d’autunno;
pure, presto rinascono, e il tuo destino dal loro non può separarsi: continua il tuo viaggio, continua ad andare. -


* * * *



La Valle del Vento Gelido, oltre il dorso del mondo. Il freddo mi penetra nelle ossa, mi squarcia la pelle e mi lecca le ferite con lingua di spine.
Solo un vento impietoso spazia in queste ampie radure innevate, e i miei passi incedono di una lentezza appesantita dal manto dei ricordi che nel silenzio cala sui miei pensieri.
- E’ allora che ti senti invecchiare…quando ti accorgi di avere più ricordi che desideri… -
Il rumore della neve che cede al fardello dei miei passi mi invita a continuare a camminare, mi offre un lago di puro bianco candore inviolato, come una poesia sublime che a nessuno potrò mai raccontare.
Ma quella stessa neve che riempie i miei stanchi occhi di una bellezza appagante, è la stessa neve che uccide e congela le membra, fino a cristallizzare la morte in un’ultima meravigliosa creazione immota.

Non è il freddo che mi preoccupa qui, né la difficoltà di cancellare le mie tracce o il pericolo di sentirsi sempre troppo esposti, più prede che cacciatori. No, è il senso di vuoto che provo, un vuoto che non riesco a riempire di calore appellandomi a ciò che mi porto dentro.
Semino fiori insanguinati in questo Giardino candido, e le mie lame implacabili reclamano altre vittime immeritevoli d’esistere.
Ma i miei piedi sono stremati, e ho bisogno di levarmi questi abiti per infilarmene di caldi e asciutti: rischio di morire ad ogni passo in questo paradiso dimenticato dagli dei, se non controllo il livello di insensibilità della mia pelle. E mi vedo mattone logoro nel muro della città del Giudizio, o prostrata innanzi a Lei a chiedere perdono per non aver mai compreso appieno come servirla.

C’è un grotta poco distante da qui, riesco a orientarmi con le stelle e posso ritrovarla. Sfrego i legnetti più asciutti che son riuscita a conservare, e le mie mani non sentono nulla. Ma il fuoco prende vita e mi accarezza il viso con la dolcezza infinita di una mano calda nel cuore gelido dell’inverno.
Mi abbandono a quel torpore e lascio che il mio sguardo profondo come il verde della foresta si smarrisca in quella che è solo un’enorme, desolata, distesa di bianco.
Mulinelli di neve s’alzano come spettri silenti che danzano per richiamare la bufera, e sono solo spettri quelli che vedo anche se chiudo gli occhi: fantasmi lontani, amori perduti, braccia estranee che cercano di afferrare ciò che non sarà mai loro.
- Devi alzarti adesso, devi cambiarti e medicarti le ferite. Lo squarcio sul bicipite sinistro è una scia di rubino ghiacciata scintillante sulla tua pelle diafana. Alzati. -

“Dov’è casa mia?” Sempre la stessa domanda sbagliata. Perché il quesito vero non ho mai il coraggio di pormelo.
- Qual è casa mia?... -
Un fischio sommesso e cadenzato in due tonalità ben precise basterà a far comparire la sagoma di Artax al galoppo, con quel suo manto candido che sfigura al confronto della purezza del nord, e i suoi occhi pieni di una vecchiaia incombente, lucidi come i miei di una patina che si addensa a coprire lo sguardo di chi ha visto molte…troppe cose.
“Portami a casa Artax.”
Per lui non è mai stato un quesito difficile. Ai miei comandi risponde con movimenti precisi, sempre gli stessi. Per lui è tutto così semplice.


Non mi lasciare sola.





"Viaggiai in lungo e in largo, incontrai esseri d’ogni forma e aspetto, poi mi accorsi che, come non tutte le stelle sono uguali, non tutte le creature belle lo sono. Conobbi il fuoco e vidi esso sorgere dalla neve, vidi un lupo dormire con un orso, conobbi la mia solitudine libera di girare tra i boschi. Lei è la cicatrice più profonda che porto con me."


"Anch’ella funambola, cammina a braccia aperte sulla fune non per mantener l’equilibrio ma per abbracciar le stelle; amata da Sune che le ha dato l’ignoto dono di portare con se fin sopra quegli astri chiunque carpisca la sua essenza di creatura libera e bella; come la rivelazione sussurrata d’una meravigliosa scoperta conduce il cuore a palpitare di gioia."


"Mantodivolpe è uno spirito libero: e quando il vento si fa sentire lei diventa leggera come una piuma e corre veloce come un cavallo selvaggio, inseguendo i suoi istinti come un predatore."

 

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