E trattenere in bocca il sapore di una vita che dopo esserti stata cucita perfettamente addosso, scivola via con incomprensibile naturalezza, portandosi dietro il buono e il brutto di te, senza far distinzione tra ciò che era morto da tempo sulla tua pelle e ciò che ancora ti era necessario per vivere.
Bisogna continuare a rimescolare quel sapore, e distillarlo con sapiente meticolosità, fino a raggiungere l’essenza di ciò che si è perduto, e scoprire il modo di trovarlo incredibilmente dolce.
«È uno strano dolore... Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai.»
I sogni hanno una corazza dura quanto più li abbiamo nutriti e alimentati d’affetto e cure.
Ma spesso il rapporto che abbiamo coi sogni è morboso e malato.
E’ infetto all’origine, non ha possibilità di redimersi.
Che i sogni vissuti siano tutto frutto della nostra fantasia, o che ci siano stati imposti da qualcuno, o che più sottilmente si siano fatti strada negli spazi vuoti di un’esistenza disagiata, non ha veramente importanza.
A cosa serve chiedersi se ciò che si è vissuto si sorreggeva sulle fragili basi dell’illusione?
Se i bisogni vissuti erano alimentati da menzogne e ipocrisie?
Rovinerebbe ogni cosa, anche il bello di ciò che si ha avuto.
«Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede. Mica per altro che vivere è un mestiere gramo. Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire. »
“La cosa bella dei deserti è che da qualche parte nascondono sempre un pozzo” - direbbe un certo Principe, uno di quelli veri, uno di quelli con un cuore.
E se non ci si sbriga a scavare sotto i detriti che ci siamo lasciati cadere addosso, per trovare quel pozzo nascosto al quale attingere per reinventarci, è possibile che nella miseria in cui già versiamo, ci sia qualcun altro che gode a prendersi gioco di noi.
Qualcuno come il Tempo, che se da un lato cura, dall’altro corre come un forsennato, lasciando addosso quella sensazione di star lì sul binario sapendo di aver perso un’altra volta il treno.
«Sai cos’è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. E’ come se non fosse mai passato nessuno. E’ come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. E’ tempo. Tempo che passa. E basta. »
«Davvero ci sono momenti in cui l’onnipresente e logica rete delle sequenze casuali si arrende,colta di sorpresa dalla vita, e scende in platea, mescolandosi tra il pubblico,per lasciare che sul palco, sotto le luci della libertà vertiginosa e improvvisa,una mano invisibile peschi nell’infinito grembo del possibile e tra milioni di cose,una sola ne lasci accadere. »
Come si fa a tenere tutto dentro e a passare le ore a riordinarlo, senza che ci sia una sola possibile combinazione sulle centinaia che la probabilità offre, che riesca a far combaciare gli spigoli taglienti fino a trovare un incastro accettabile?
Sei ancora lì che cerchi di aggiustarti e di digerire tutto quello che continuamente sei sul punto di rigurgitare, quando il caso ti sbatte addosso e ti lascia lì con una possibilità sul palmo della mano aperta.
Non serve ragionare, occorre vivere. E occorre stringere quella mano a pugno fino a farla sanguinare, per custodire tutto quello che deve continuare a far parte di te, e per difenderti a nocche chiuse da tutto ciò che cerca di annullarti, atterrirti e calpestare la tua dignità.
Così poche cose al mondo meritano veramente il contatto carezzevole di quella stessa mano, pronta a sacrificarsi di nuovo per non diventare arida e avvizzita.
Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Così... Io non è che volevo essere felice, questo no.
Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri.
Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente:
il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No.
Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera.
Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito.
Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile:
e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male.
E’ lì che salta tutto, non c’è verso di scappare,
più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci.
Non si ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare.
Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male
che tu non te lo puoi nemmeno immaginare. »
Occorre scegliere e costringersi ad aprire gli occhi, spalancarli su tutto ciò che terrorizza e annienta, ma che insegna anche a svegliarsi nei confronti del mondo e delle persone.
Occorre capire la differenza tra bisogno e desiderio, e trovare il coraggio di accettare la sfida.
«Forse il mondo é una ferita
e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano -
e nemmeno é amore, questo é stupefacente,
ma é mani, e pelle, labbra, stupore, sesso, sapore -
tristezza, forse - perfino tristezza - desiderio -
quando lo racconteranno non diranno la parola amore
- mille parole diranno, taceranno amore - tace tutto, intorno. »
«Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è,
tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela,
io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio. »
(A. Baricco – Oceano mare)
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