(img by Brom)
Muta desolazione.
Nell’aria sospeso
profumo d’autunno.
Foglie auree, trafitte
da un raggio di debole sole
cadono.
Morte silente
nell’informe frastuono
della vita che scorre.
Tanta solennità
calpestata
dall’indifferenza.
Un mondo che gira
troppo veloce,
ma sprofonda
in un vortice di morte.
Alle porte dell’inferno
intravedo soltanto
un’infinita solitudine.
Attendo impaziente il gelido inverno, ma prima voglio dare il mio personale addio all’estate...a questa estate in particolare, e a molte altre che ancora custodisco gelosamente.
Questi sono solo ricordi...
Ricordo nonna che si lamentava, mentre passeggiava da sola in giardino e per campi, e appena mi vedeva uscire mi chiamava con lei, a goderci lo spettacolo insieme. “Te l’avevo detto”, mi ripeteva, “le rondini volavano basse questa mattina”. In realtà non ci azzeccava sempre, ma quando succedeva, le davo la soddisfazione che si meritava. Così ci sedevamo nel portico, a guardare il sole che scompariva dietro grosse nuvole grigie, con il vento che fischiava attraverso le baracche, e la danza delle piante in balia delle folate più violente.
Poi arrivava la pioggia, dopo essersi fatta attendere magari per settimane, nelle estati arse e afose del nostro paese, e sembrava un miracolo di dio, che finalmente si concedeva a dissetare la terra. Era tutto bellissimo, nella sua maestosità, e nella sua pericolosità…C’erano volte in cui si doveva pregare forte perché l’impeto della natura non distruggesse qualcosa; altre invece giungeva solo il temporale inoffensivo, ma nonostante tutto splendido, che faceva tremare gli animali e i vetri del portico col suo fragore, ma nulla di più. “La voce di dio”, mi diceva nonna…
Ad ascoltare gli anziani i bambini potevano rimanere molto impressionati, e penso fosse proprio quello lo scopo. Le cose peggiori se le inventavano per farti passare la voglia di uscire quando calava la sera: a partire dal babau fino all’orco che abita in fondo alla via e mangia i bambini disobbedienti. Non credo che si rendessero conto di rovinare delle povere menti innocenti. Del resto i bambini ci fanno caso fino ad un certo punto, e ricordo che quando dovevo fare la via da casa mia a quella di nonna di notte, la mia mente si ricordava improvvisamente di tutte quelle “simpatiche” storielle che mi avevano raccontato un tempo per farmi paura. Ma poi mi dicevo che ero una stupida ad aver paura, che ogni rumore era solo il respiro della natura che conoscevo così bene, e che di notte se ne stava semplicemente nascosta; allora mi fermavo a guadare il cielo, e nelle notti serene restavo immobile a fissare l’incanto di quell’immensità: come aver paura di tanta bellezza?
Insomma, le dicerie da mezza strega (buona, s’intende) di mia nonna, avevano su di me l’effetto di affascinarmi, e infondo eravamo molto simili io e lei. Il temporale giungeva proprio sopra le nostre teste, e noi ce ne stavamo lì a guardarlo fisso, ammirando la potenza del creato, consapevoli della nostra fragilità. Non durava mai più di una ventina di minuti, e noi ce ne stavamo là finché passava, dopodiché c’era il “giretto” di rito, a controllare se c’erano stati danni, nel mentre che il cielo si rischiarava, finché non rispuntava il sole, e allora correvo di fretta fino dietro casa mia, perché sapevo che da là si poteva vedere l’arcobaleno. Lo so, sembrano cose così banali, ma la bellezza sta nelle cose semplici, e allora...beata ingenuità.
Nessun commento:
Posta un commento