
Sento le tempie pulsare, un frastuono interiore che si infrange sulle pareti del mio cranio.
E’ come se si aprissero fessure logore, so che stavolta cederà.
Poi quella sensazione: rimbomba sonora mentre risale dai più reconditi meandri delle mie viscere. La botola per l’inferno aperta di nuovo. E là dentro è tutto così pieno, ricolmo, strabordante.
E penso a Malte là nel suo letto, mentre tenta di ributtare dentro alla rinfusa tutto ciò che la sua anima non potrà più contenere.
Vorrei dare un senso ad ogni cosa, vorrei che quella massa informe diventasse atto, materia, parola.
Ma continuo a mirare alto, troppo alto…cammino a testa alta e non vedo il precipizio.
Mi illudo di aver trovato la forma giusta da dare a quel caos. Inseguo una farfalla che ha le ore contate.
Eppure lo so che alla fine non uscirà nulla, e me ne starò lì, rigonfia di tutto ciò che non ho saputo realizzare.
Fino a che quell’ammasso di illusoria ricchezza informe imploderà d’improvviso, in un botto spettacolare.
Polvere di stelle tutto intorno. Poi il buio.
Galleggiamo…certe persone lo fanno così bene. Altre si illudono di starsene su una sicura isola di idiozia e ignoranza.
Io affondo, con estrema lentezza ma affondo. E ne ho piena coscienza. Potrei cercare di galleggiare anch’io come gli altri, ma non voglio.
Inseguirò la mia malattia fino alla fine.
Non posso invidiarti, so che lo vorresti, ma non posso.
E non saprai mai nulla di me o di quanto valgo, perché le mie emozioni e i fatti miei messi in piazza spudoratamente non ci saranno mai. Serve intelligenza per capire ciò che esprimo attraverso simboli.
E serve umiltà per essere felici per cose stupide, per rendersi conto di ciò che conta davvero nella vita.
Serve infine una coscienza, per vivere e soffrire.
Per non cedere a compromessi, per continuare sulla propria strada preoccupandosi anche delle conseguenze del proprio agire.
Io affondo lentamente, tu prima o poi annegherai,
soffocata da un eccesso di sterile egocentrismo.
Per ora ti auguro di essere felice nel tuo limbo di vanità.
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